COME LE RISERVE IN ORO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE FINIRONO AL NORD ITALIA
Nel 1865 era ancora in vigore la piena convertibilità della moneta con l’oro, quando la Banca Nazionale studiò una vergognosa speculazione che vendeva al Sud titoli di credito pubblici, ricevendo in cambio moneta del Banco di Napoli che poi si convertiva in oro agli sportelli dell’istituto di credito meridionale. In questo modo, dopo il furto di Garibaldi & C., continuarono a diminuire le riserve auree del Banco: da 78 milioni del 1863 a 41 milioni nel 1866. Al contrario, come era stato progettato, le riserve auree della Banca Nazionale del Regno d’Italia aumentarono di 6 milioni.
A completamento della grande truffa, ci fu la famigerata legge del 1° maggio 1866 sul corso forzoso: la moneta del Banco di Napoli poteva essere convertita con l’oro dei propri depositi, mentre si dichiarava “inconvertibile” la moneta emessa dalla Banca nazionale. In questo modo l’oro piemontese veniva messo in salvo, mentre quello custodito al Sud fu sostituito da monete di carta, deprezzate dalla continua inflazione. Il tanto vituperato Banco di Napoli finì per salvare dal fallimento l’istituto di credito piemontese, garantito dalla “non conversione” delle monete di sua emissione.
Nel 1898 si mise fine alla pluralità delle banche che potevano emettere moneta. Nacque la Banca d’Italia: al Mezzogiorno ne furono concesse 20.000 azioni contro le 280.000 del Centro Nord. La sola Liguria ne possedeva più di 120.000. Le ex Due Sicilie continuavano ad essere considerate terra di conquista. Non solo militare, ma anche e soprattutto economica.
Liberamente “saccheggiato” dal libro di Gigi Di Fiore – Controstoria dell’Unità d’Italia.