Pontelandolfo: per non dimenticare



Il 14 agosto del 1861 si consumò uno dei più atroci eccidi che la Nostra Gente abbia mai conosciuto nella sua storia millenaria. Nemmeno i turchi ed i pirati saraceni si sono mai macchiati di simili crudeltà verso popolazioni inermi, contro antichi paesi, contro la nostra civiltà contadina, profanando i templi della religione dei nostri padri.
Il 14 agosto del 1861 i fratelli cattivi di quell’Italia matrigna che invasero uno stato libero ed indipendente, vollero e seppero sporcare le loro divise con il sangue di migliaia di contadini rei di essere gli eredi di una cultura antica e concreta; rei di aver costruito la loro economia sull’essenziale improntata sulla concordia, sulla solidarietà cristiana e sulla tolleranza; rei di aver difeso strenuamente la loro terra ed i loro sacri ed antichi valori.
Ricordiamo con profonda commozione questa data che segnò l’inizio di una stagione di violenze, di dolore, di lutti e di devastazioni che culminò con l’annientamento di 84 paesi, la morte di oltre 658.000 civili ed il totale asservimento politico ed economico di una Nazione una volta felice e prospera.
“Non vogliamo, non dobbiamo, non possiamo permettere” che il martirio di Pontelandolfo, Casalduni, Capolattaro e di decine di altri paesi svanisca nel nulla del buonismo liberal-massonico, nella filosofia del vogliamoci bene di “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato …”: l’ingiustizia ed i crimini contro l’umanità, perché non si ripetano, si combattono con la forza della memoria e non con il velo dell’oblio.  

In allegato alcune pagine estratte dal diario del bersagliere Margolfo Carlo, appartenente al 6° Battaglione, 2° Compagnia  del 4° Corpo d’armata comandata dal criminale di guerra Cialdini. 
Margolfo partecipò all’eccidio di Pontelandolfo e la sua testimonianza scritta rappresenta per la verità storica, un documento di estrema importanza, un’autodenuncia che fa rabbrividire.





CRONACA DI UNA STRAGE
Cialdini aveva ordinato al generale Maurizio de Sonnaz che di Pontelandolfo e di Casalduni “non rimanesse pietra su pietra”. 
Il 13 agosto 1861, formate due colonne con il 18° reggimento bersaglieri, una di 500 uomini, al comando del tenente colonnello Pier Eleonoro Negri, si dirige verso Pontelandolfo, l’altra di 400 uomini, al comando del maggiore Carlo Magno Melegari, si dirige verso Casalduni. 
Prima di entrare nei paesi, le colonne hanno uno scontro con una cinquantina di insorti che sono costretti a fuggire nei boschi, dopo avere ucciso venticinque bersaglieri nel combattimento. 
All’alba del 14 Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone ha contrassegnato le case dei liberali da salvare, entrati nella cittadina, i bersaglieri, per ordine di Negri, fucilano chiunque capita a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e poi tutto il paese è dato alle fiamme e raso al suolo. Gli assassini in divisa compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna numerosi abitanti sono riusciti a scappare a quel massacro rifugiandosi nei boschi.
Nicola Biondi, un contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudano la figlia Concettina, di sedici anni e la violentano a turno. La ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il bersagliere che la stava violentando, quasi indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la spara. Il padre della ragazza, cercando di liberarsi dalla fune che lo teneva inchiodato al palo, è fucilato dai bersaglieri. Le pallottole rompono la fune e Nicola Biondi cade carponi nei pressi della figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro, con il figlio in braccio, sta per scappare, ma è bloccato dai militari che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono senza misericordia. Il saccheggio e l’eccidio durano l’intera giornata del 14 agosto. 
Numerose donne sono violentate e poi ammazzate; alcune che s’erano rifugiate nelle chiese sono trucidate dopo essere state denudate davanti all’altare. Una, oltre ad opporre resistenza, graffia a sangue il viso di un piemontese; le sono mozzate entrambe le mani e poi è ammazzata a fucilate. Tutte le chiese sono profanate e spogliate. Le ostie sante sono gettate, le pissidi, i voti d’argento, i calici, le statue, i quadri, i vasi preziosi e le tavolette votive, rubati.
Gli scampati al massacro sono rastrellati e inviati incolonnati a Cerreto Sannita, dove circa la metà di loro è fucilata. 
Negri poche ore dopo telegrafava a Napoli: “Giustizia è fatta”.

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