Gaeta resiste ancora

13 FEBBRAIO 1861
13 FEBBRAIO 2021
OGGI SONO 160 ANNI
E GAETA RESISTE ANCORA

Massacrati, deportati come soldati e come civili, arrestati, licenziati e poi emigranti… Si tratta di centinaia di migliaia di persone (e poi milioni quando diventiamo emigranti) in gran parte giovani e in meno di dieci anni. Che cosa resta? Resta un popolo dimezzato nelle cifre e nelle aspirazioni, nei progetti e nelle speranze. Conoscete un altro popolo nel mondo che per tanto tempo e per tante persone abbia subito un trattamento simile? Questo ci spiega perché è così complicato ritrovare la strada di un riscatto. Questo ci spiega perché è così necessario continuare il nostro lavoro di ricostruzione di verità storica, identità e orgoglio. Questo ci spiega perché i risultati finora raggiunti in questo lavoro e i segnali di vita, di rabbia e di speranza che i popoli dell’ex Regno delle Due Sicilie continuano a dare sono quasi miracolosi, piaccia o no a qualcuno. Ed è quasi un miracolo che ancora esista questo Popolo e che magari, a poco a poco, stia riacquistando la sua memoria e anche le sue aspirazioni e le sue speranze”.
(Gennaro De Crescenzo, “Noi, i neoborbonici”, 2016).

Il 13 febbraio a Gaeta fu spezzata la storia

del Regno delle Due Sicilie

Abbiamo ricominciato proprio da Gaeta a scrivere una nuova storia
per riannodare il filo della nostra Storia
Il 13 febbraio si espone
la Bandiera del Regno Delle Due Sicilie

IL NOSTRO GIORNO DELLA MEMORIA

Fa male ricordare. Ma è necessario. E’ necessario perché “l’ingiustizia e i crimini contro l’umanità, perché non si ripetano, si combattono con la forza della memoria e non con il velo dell’oblio” come si affermava nel Bollettino della Rete Due Sicilie il 14 agosto del 2003.
Per crimini contro l’umanità s’intendono “azioni criminali ovvero violenze e abusi contro popoli o parte di popoli o che, comunque, siano percepite, per la loro capacità di suscitare generale riprovazione, come perpetuate a danno dell’intera umanità.”
Ciò che accadde a Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro, ma anche in Sicilia, in Calabria, in Lucania, in Abruzzo, nel resto della Campania e del Sannio, deve al più presto divenire oggetto di una seria indagine storica finalizzata al riconoscimento di quelli che, sicuramente, furono crimini di guerra perpetrati dalle truppe piemontesi ai danni dei soldati e delle popolazioni civili meridionali, che reagivano all’illegittima invasione e che, sicuramente, sono da considerarsi, per la loro efferatezza e crudeltà, crimini contro l’intera umanità.
Da Bronte in Sicilia fino a Fenestrelle, il tremendo lager Savoia ai piedi delle Alpi piemontesi, dove furono deportati i soldati fedeli al sovrano Borbone, ci sono i segni tragici di una storia che non si pacificherà finché non verrà accuratamente indagata e svelata. Possiamo in questa sede solo ricordare alcune atrocità che ci tramandano fonti borboniche e fonti piemontesi, proprio per non dimenticare. Possiamo ricordare i bersaglieri che nel paese di Pontelandolfo, per ordine del Negri, lo stesso Negri al quale fu dedicata una lapide commemorativa, fucilarono quanti capitavano a tiro: preti, uomini, donne, bambini e che saccheggiarono le case, violentarono le donne, diedero alle fiamme e rasero al suolo il paese di 4500 abitanti. Morire subito fucilati o arsi vivi era da considerarsi una fortuna nel paese, perché morire subito e ingiustamente avrebbe evitato altre violenze contro il genere umano. Ricordiamo tristemente Nicola Biondi, un contadino sessantenne legato a un palo della stalla da una decina di bersaglieri che denudarono di fronte a lui la figlia sedicenne e la violentarono a turno per poi lasciarla a terra sanguinante per la vergogna e il dolore, mettendo infine termine alle sofferenze di entrambi fucilandoli. Ricordiamo Santopietro che, con il figlio in braccio, cercando di fuggire, fu bloccato dai militari che gli strappano il bambino dalle braccia e lo uccisero. Nemmeno le donne che si erano rifugiate nelle chiese furono risparmiate, alcune vennero denudate e violentate davanti all’altare, poi uccise. Una, per aver opposto resistenza graffiando l’aggressore, venne mutilata delle mani e poi ammazzata. Tutte le chiese furono oltraggiate, le ostie sante gettate, i calici, i quadri, e tutti gli oggetti sacri, se preziosi, rubati. Alla fine i ligi bersaglieri piemontesi riuscirono ad accontentare il Cialdini che aveva ordinato che non restasse di quel paese pietra su pietra. Poche ore dopo l’accaduto, il Negri telegrafò infatti a Napoli: “Giustizia è fatta”.
Prima di iniziare ricerche più approfondite, prima di adoperarsi per un’azione più energica volta al riconoscimento di queste stragi, in attesa di un’ammissione di colpe e di una sorta di giustizia, ogni essere umano che viene a conoscenza di questi eventi disumani e in particolare ogni meridionale, in questa nostra giornata della memoria non può far altro che ritagliarsi almeno un minuto di silenzio.

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