Napoli – Juventus, una sfida infinita

Le sfide con la Juventus, per i tifosi del Napoli, hanno sempre rappresentato qualcosa in più di una semplice partita di calcio, lo testimonia il fatto che le stesse società calcistiche nelle precedenti occasioni in cui si sono incontrate, nei giorni che hanno preceduto gli incontri e, tal volta, nell’immediato post partita, si sono spesso “punzecchiate” e non sono mancati gli strascichi polemici.
Ma specialmente in questi ultimi anni e cioè da quando un riscoperto orgoglio identitario ha fatto capolino anche dagli spalti del San Paolo, con bandiere, simboli e quant’altro, la partita con “l’odiata vecchia signora” ha assunto il sapore della rivalsa, per quanto ci fecero (cito Pino Aprile) “ I fratelli d’Italia scesi dal nord”.
Devo dire che quest’ultimo match è stato sentito in modo particolare, oltre che dai napoletani appassionati, come sempre, anche dalla tifoseria ospite e dalla dirigenza bianconera, che negli anni ha perso quello “stile Juve” che un tempo tanto ostentava e decantava.
Già prima della gara ha provocato la collera di molti tifosi partenopei una foto apparsa in rete e che, in breve, ha fatto il giro del web. Foto in cui i supporters juventini, in viaggio verso Napoli per assistere alla gara, si erano fatti ritrarre con delle mascherine al volto, in una chiara insinuazione sul fatto che Napoli possa essere una città maleodorante.

Nel post partita, poi, si sono aggiunte le polemiche scatenate dalle dichiarazioni del dirigente juventino Giuseppe Marotta: «Preoccupati per il campionato? Preoccupazione zero, è vero che abbiamo commesso un passo falso durante un cammino straordinario, ma ci ha stupito l’euforia del Napoli dopo la vittoria, un’enfasi quasi da squadra provinciale vissuta come una vittoria di uno scudetto. E’ stato molto riduttivo del blasone del Napoli».
Così, domenica scorsa (30/03/2014),  mentre mio fratello ascoltava alla radio la cronaca della partita, dai suoi commenti mi arrivavano involontariamente informazioni sulle varie fasi della gara, di tanto in tanto qualche vicino gli faceva eco, poi i due boati di giubilo a sottolineare le due reti con le quali il Napoli ha battuto i bianconeri. 
Come detto, la sfida era molto sentita, così, mentre si svolgeva la gara mi sono tornate in mente alcune partite del passato, che ho vissuto in prima persona o che mi sono state tramandate dai racconti di un caro vecchio amico, e le polemiche, le provocazioni che le hanno caratterizzate. Ad esempio ricordo che prima  della partita 3/11/85,  ci furono delle provocazioni dell’allora portiere bianconero Stefano Tacconi, all’indirizzo di Diego Maradona… “Chi me l’ha fatto fare”, avrà pensato poi il malcapitato portiere.
Ricordo era la nona di campionato, la Juve fino a quel momento aveva  sempre vinto, il San Paolo tutto esaurito era una bolgia, il Napoli aveva dominato quella partita ma non riusciva a sbloccare il risultato e tutto lasciava presupporre che la gara sarebbe terminata a reti bianche, ma a pochi minuti dal termine un fallo su Bertoni e di conseguenza una punizione a due in area, ad incaricarsene fu Maradona che a 14 metri dalla porta di Tacconi e con la barriera a meno dei 9 metri regolamentari riuscì a scavalcare la stessa e a insaccare la palla all’incrocio dei pali, nel punto più lontano rispetto al piazzamento del portiere juventino.
Altra memorabile sfida è senz’altro quella del campionato successivo, questa volta la Juve fu sconfitta in casa nel suo stadio, il vecchio comunale, ricordo che io e mio fratello stavamo ascoltando la cronaca alla radio (all’epoca non c’erano ancora le pay tv) ma quando lo juventino Laudrup segnò il gol dell’uno a zero mio fratello per rabbia la spense, ma la riaccese giusto in tempo per sentire del gol del pareggio di Moreno Farrario al quale seguirono i gol di Bruno Giordano e Giuseppe Volpecina che pochi minuti prima era entrato in campo, erano ben ventinove anni che il Napoli non riusciva ad espugnare lo stadio bianconero, l’indomani alcuni quotidiani titolarono “La presa di Torino”.
Ma la partita alla quale più di tutte avrei voluto assistere dal vivo è quella del 20/04/1958. Prima di parlarvene però, devo tornare al presente, alle polemiche di cui sopra e al fatto che domenica sera dopo la gara ho acceso la tv per guardare gli highlights, e per godermi la vittoria, ma anche per vedere se avessero parlato della foto dei tifosi juventini fatta durante il viaggio verso Napoli. Niente, nemmeno una parola, in compenso è stato dato ampio spazio alla contestazione di alcuni tifosi del Napoli che, stando alle parole del cronista, hanno aggredito il bus che trasportava la squadra bianconera, lanciando al suo indirizzo, cito testualmente, “di tutto”… Naturalmente ci sono rimasto male, certi atteggiamenti non sono tollerabili, però quando ho visto le immagini, che ho voluto poi cercare in rete per rivederle, non mi è sembrato di aver visto lanciare questo “di tutto”, espressione che nell’immaginario collettivo può stare a significare sassi, bottiglie, spranghe di ferro e magari qualche scarpa, invece niente di tutto questo, le uniche cose che ho visto volare verso il bus della Juve sono state un paio di riviste arrotolate. Si è parlato anche di un lancio di uova, che nemmeno ho visto.
Stando sempre alle parole del cronista, gli intemperanti erano un migliaio, (ne ho contati molti di meno), tra i quali c’erano anche donne e bambini, alla fine addirittura la polizia è dovuta ricorrere a una carica per disperderli…
La polizia che era si presente, come è logico che sia in certe occasioni, ma che, sempre dalle immagini di cui sopra, svolgeva normali mansioni dettate dal caso, in pratica gli agenti facevano da cordone umano per lasciar passare il bus della squadra ospite.
In conclusione, sempre lo stesso cronista ha parlato di un lancio di petardi all’interno dello stadio, mentre era in fase di svolgimento la gara, verso il settore che ospitava i tifosi bianconeri, aggiungendo, cito testualmente, “episodi di questo tipo da queste parti si vedono troppo spesso”.
Tornando alla cronaca della partita del 20/04/1958, forse non tutti sanno cosa accadde di tanto significativo in quella gara. Ho provato a ricostruire le fasi di quella gara dai racconti e dalle cronache del tempo.
Racconta Ottavio Bugatti portiere e capitano di quel Napoli: “in città si respirava un clima particolare. Un’autentica febbre, nessuno voleva mancare. Così la domenica, molta più gente di quanto lo stadio potesse contenerne si precipitò al Vomero. Lo stadio era già stracolmo e la gente finì col premere sui cancelli, e si trovò così in mezzo al campo. L’arbitro Concetto Lo Bello decise di far giocare regolarmente la partita. Solo, prima dell’inizio, chiamò me, capitano del Napoli e quello della Juventus, con noi si avvicinò agli invasori e disse “alla minima intemperanza sospendo tutto”. Erano circa quattromila gli…infiltrati. “Vincemmo noi”, ricorda ancora Bugatti, “con una sequenza di reti mozzafiato e con un gol, quello di Bertuccio, segnato praticamente all’ultimo minuto, quando la Juve non aveva più modo di rimontare”. In quel Napoli, oltre al bravissimo Bugatti, che si guadagnò la maglia della nazionale “pur giocando nel Napoli”, c’erano Luis Vinicio, soprannominato ‘O Lione, e Bruno Pesaola per tutti il Petisso (a causa della bassa statura), personaggi che hanno scritto pagine di storia del calcio napoletano prima come calciatori e poi come allenatori. 


Napoli 20.04.1958


Al termine della gara i quattromila imbucati invasero pacificamente il terreno di gioco per portare in trionfo i loro beniamini, sotto gli occhi di un attonito Omar Sivori che, da li a qualche anno avrebbe occupato un posto speciale nei cuori di quei tifosi, e che ebbe modo di ricordare spesso in seguito quelle scene sottolineando, oltre al grande amore, anche la straordinaria correttezza di quei napoletani.
Conoscere la storia, anche di una squadra, può servire al giornalista ad essere più imparziale, al dirigente sportivo per capire il senso di tanta gioia dei tifosi napoletani e, chissà, forse potrebbe insegnare un po’ di etica comportamentale (perfino) a quei tifosi juventini (piemontesi e non) che hanno indossato le mascherine.
Per chi lo desidera, allego il video dei fatti salienti della gara del 20/04/1958:

https://www.youtube.com/watch?v=4zYJVCttp3g 

Francesco De Crescenzo




Pubblicato in News | Commenti disabilitati su Napoli – Juventus, una sfida infinita

Portici – Villa D'Elboeuf, una lenta agonia

Nonostante le nostre incalzanti denunce, continua la lenta agonia di questo importante sito che, come altri monumenti della zona, sta gradualmente togliendo il disturbo cadendo a pezzi sotto il peso dell’indifferenza politica ed amministrativa.  
Una vergogna nella vergogna che genera rabbia tra gli abitanti di Portici e getta nello sconforto chi, da anni, si batte per tutelare le vestigia di una storia antica che si vuol cancellare a tutti i costi, “financo nelle fabbriche”.   

——————————————————————————–

DALL’ORGOGLIO DEL MIGLIO D’ORO 

ALLA VERGOGNA DEL MIGLIO DELLE MACERIE


A Portici, un tempo Real Sito, sul Miglio d’Oro, Villa d’Elboeuf continua a crollare sprigionando il suo inascoltato “grido di dolore”. Adesso è la volta di un altro solaio e di un muro di cinta, aiutati a franare anche dalle piogge degli ultimi giorni. 
Vi fu un tempo in cui era un regale Palazzo, fatto costruire, a partire dal 1711, dal Principe Emanuele Maurizio di Lorena, Duca d’Elboeuf e Barone di Routot e di Quatremarre, Generale della Cavalleria Austriaca e nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI.
L’incarico per il magnifico progetto fu dato all’Architetto Ferdinando Sanfelice, uno dei più importanti rappresentanti dello stile tardo barocco napoletano, amante di illusionistici giochi scenografici e prospettici. L’attribuzione dell’opera al Sanfelice, deriva dalla gran piazza avanti alla dimora e dalle due fiabesche scalinate ad emiciclo, che uniscono il prospetto della villa alla spiaggia.
Costruita la caratteristica loggia, nel giro di pochi mesi, sorse questa favolosa villa, adorna di stucchi, statue (reperti archeologici ercolanesi) e con un ampio bosco arricchito da piante rare. Alcuni dei pavimenti posati nella villa, vennero prelevati dalle case romane degli Scavi di Ercolano, così come tante colonne in marmo e moltissimi bronzi che adornarono le balconate marmoree. Lungo quest’ultime, le statue di Ercolano facevano bella esibizione e, all’interno dell’edificio, vi si trovavano anche una chiesetta, una grande cucina, un refettorio e una scuderia.
Per alimentare le fontane del Palazzo e del parco lussureggiante, venne realizzato un lungo acquedotto che, partendo dagli Appennini dove attingeva al Fiume Clanio, giungeva fino al Granatello. La traccia di questo acquedotto fu delineata dal Rizzi-Zannoni nella sua topografia del 1794 (Carta del Littorale di Napoli e dei luoghi antichi più rimarchevoli di quei contorni) con la denominazione di Acquedotto Reale di Portici.
Nel 1716 la villa fu ceduta dal Principe di Lorena al Duca di Cannalonga Giacinto Falletti. Successivamente, nel 1742, venne acquistata da Casa Reale Borbone allo scopo di includerla nel territorio scelto per la sistemazione delle “Reali Delizie”. Carlo vi fece sistemare dei meravigliosi vivai (detti “Peschiere” o “Tonnare”) denominate le “Regie Peschiere del Granatello”, dove vi si trovavano pesci di sorprendenti specie e di vari colori e forme. 

Durante il “Decennio francese”, sotto Re Gioacchino Murat e per volere di sua moglie Carolina Bonaparte, venne eretto, incastonandolo ai piedi della Villa, l’ormai obliato “Bagno della Regina”. Quel poco che resta di quest’opera d’arte, nell’incuria e l’abbandono, è, tutti dovrebbero saperlo, l’unico esempio esistente al mondo di “architettura balneare stile impero”.
Nell’agosto del 1838, per la realizzazione della prima ferrovia della penisola italiana, iniziarono, in prossimità di Villa d’Elboeuf, i lavori della linea Napoli-Portici, inaugurata da Ferdinando II di Borbone il 3 ottobre 1839. Per la costruzione della Stazione del Granatello, nel tratto appunto tra la villa e la rampa di accesso del porto, venne realizzato il grosso muraglione di contenimento, alto circa 12 metri e lungo 130, con il quale si coprirono le lave dell’eruzione del 1631. 
Ai piedi del Palazzo, nel 1849, sbarcò il Papa Pio IX che, profugo da Gaeta dove aveva riparato per fuggire l’insurrezione romana, fu premurosamente ospitato da Ferdinando II nella Reggia di Portici fino al 1850.  Una rappresentazione dello storico evento, esposta al Museo Nazionale di San Martino di Napoli, è l’Arrivo di Pio IX al Granatello; un olio su tavoletta del 1849 di Pasquale Mattej. 
Come tutti i Sovrani Borbone, anche Francesco II, l’ultimo Re della Patria Duosiciliana, fu intimamente legato a Villa d’Elboeuf. Tanto è vero che, dopo aver concesso da Portici la Costituzione del 25 giugno 1860 e trascorso gli ultimi giorni del suo regno nel Real Sito, con sua moglie, la giovane ed incantevole Maria Sofia, il 6 settembre dello stesso anno, si imbarcò dal Granatello per raggiungere Napoli, da dove poi le Loro Maestà sarebbero salpate definitivamente alla volta di Gaeta.



Con la proclamazione del Regno d’Italia, il destino di Villa d’Elboeuf venne segnato inesorabilmente. Tutti gli immobili ed i territori acquistati e appartenuti a Casa Reale Borbone, passarono in “dotazione” a Casa Reale Savoia. 
Villa d’Elboeuf fu ceduta alla famiglia Bruno, prendendone la denominazione, e in seguito ne venne frazionata la proprietà. Ai piedi della villa, nell’estate del 1882, sorse anche il primo stabilimento balneare, denominato anch’esso “Bagno della Regina”. Questa struttura fu eretta proprio a fianco dell’antico “Bagno Borbonico”, dove, per comodità dei tanti villeggianti, venne costruito un emiciclo su due piani dotato di 24 spogliatoi.
Anche i Savoia passarono per Villa d’Elboeuf, ormai divenuta Villa Bruno! Infatti, Vittorio Emanuele III il 16 maggio 1927, per recarsi ad inaugurare i nuovi scavi di Ercolano, sbarcò al Granatello dal Cacciatorpediniere Confienza e fu ricevuto, ai piedi della villa, da varie personalità politiche e dalla popolazione.  
Nel 1951 venne donata dal Cavalier Luigi Bruno al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, che nel 1978 la vendette alla società immobiliare Ge.Ca.srl.
Ma veniamo ai tempi più recenti! Nonostante le diverse leggi emanate per proteggere le ville settecentesche del Miglio d’Oro; leggi che hanno dato vita all’Ente Ville Vesuviane (un consorzio tra lo Stato Italiano, la Regione Campania, la Provincia di Napoli e i Comuni vesuviani, diventato poi Fondazione) ed eletto le stesse “Monumento Nazionale” (Legge n° 1089/1939, Legge n° 1552/1961, Legge n° 578/1971), per Villa d’Elboeuf non c’è stata nessuna “pietà”! 
Tutto anche a dispetto del vincolo posto dalla Sovrintendenza sul bene, dato il valore storico dell’immobile, e sebbene vi sia stato il cofinanziamento della Comunità Europea con le Istituzioni nazionali.
Questa dell’Ente Ville Vesuviane, poteva essere un’occasione per Villa d’Elboeuf, ma purtroppo dell’Ente, proprio in quest’ultimo periodo, si è sentito parlare solo in relazione al rinnovo del Consiglio di Amministrazione, avvenuto nel dicembre scorso con la riconferma alla presidenza dello storico Giuseppe Galasso. E a pensare che tra gli obiettivi dell’Ente ci sarebbe “la realizzazione di opere di restauro e la diffusione di una rinnovata coscienza dell’importanza dei tesori del nostro passato”.
Ma procediamo con ordine! Nel 1993 il Professor Francesco Coppola ha elaborato il progetto di restauro della villa che sarebbe dovuta diventare un’area polifunzionale, costituita da un albergo, un ristorante, un centro velico ed un centro multimediale. Questo avrebbe dovuto generare ricadute anche in termini occupazionali, prevedendosi l’impiego di almeno un centinaio di persone (forse era un periodo elettorale!).
Non essendo però Portici dotata di un Piano Regolatore, occorreva un Accordo di Programma tra  Regione, Provincia e Comune, al fine di consentire il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, da residenziale a produttivo.
Ma nonostante i 25 miliardi di lire di fondi europei a disposizione del Patto Territoriale del Miglio d’Oro, sono dovuti trascorrere molti anni prima di giungere alla sottoscrizione di quest’accordo, avvenuta vergognosamente solo nel 2001, tra l’allora sindaco di Portici Leopoldo Spedaliere e gli assessori all’Urbanistica della Provincia di Napoli Guido Riano e della Regione Campania Marco Di Lello.
E perché tutto questo tempo, mentre la Villa andava in rovina? Difficile a credersi ma, misteriosamente, la documentazione si è smarrita per ben due volte nei meandri della Regione, costringendo i tre firmatari ad una seconda “estenuante” sottoscrizione!





Ma non basta perché, una volta firmato nuovamente l’Accordo, i Consiglieri Comunali di Portici, che avrebbero dovuto prontamente esaminare e discutere la delibera, non si sono presentati in Consiglio! È inverosimile ma la seduta nella quale si doveva affrontare la questione è andata deserta per ben tre volte! E dopo, come nelle migliori tradizioni regionali, il Consiglio Comunale è stato sciolto per presunte infiltrazioni camorristiche. Urrà!
A questo punto, il gruppo di imprenditori interessati ad investire nell’impresa, si è eclissato e il “gioco al massacro” della villa è ricominciato daccapo!
Così ha preso campo un nuovo progetto secondo il quale Villa d’Elboeuf sarebbe, questa volta, dovuta diventare un condominio di lusso. Ma anche quest’idea è andata in “fumo” perché, nel frattempo, un incendio è divampato all’interno della villa e i proprietari sembra siano stati poi nell’impossibilità finanziaria di farsi carico delle spese per la messa in sicurezza del Principesco Palazzo.
Tra “una tamburriata di qua e una tamburriata di là”, si arriva così al 2009 con la messa all’asta della villa. Avanti speculatori e principi della retorica!
Come da protocollo, falliscono i primi tentativi di vendita e gli interni della villa, giorno dopo giorno, sono sempre più in rovina per le intemperie e le spoliazioni; il tetto e i solai, costruiti con una struttura portante in legno, crollano un po’
ovunque!




Il Principesco Palazzo viene depredato di ogni bene al punto che oggi l’unico elemento architettonico, ancora rimasto a caratterizzare la villa, è rappresentato dalle due scalinate ellittiche, in strazianti condizioni, che collegano il palazzo con la spiaggia, confluendo, al piano nobile, in una piazzola un tempo delimitata da una prestigiosa balaustra in piperno e marmo bianco, anch’essa barbaramente saccheggiata come tutto il resto.
Nel 2011 un intervento di messa in sicurezza del tutto insufficiente, per soli 20.000 euro, da parte della curatela fallimentare, su istanza dell’amministrazione comunale. Si arriva quindi, tra incurie e ruberie, al marzo del 2013 e le condizioni del Monumento sono da tempo drammatiche! La villa viene finalmente aggiudicata, per la cifra di 4 milioni di euro, ad un gruppo di imprenditori napoletani, che la vogliono trasformare in una struttura ricettiva per il turismo. 
Intanto a Portici ci si prepara per le Elezioni Comunali e su YouTube tutto il mondo assiste allo sciacallaggio del 24 aprile rimasto impunito.
Il neoletto Sindaco Nicola Marrone però, nel settembre 2013, annuncia l’intenzione di chiedere al Ministero dei Beni e le Attività Culturali l’esercizio del diritto di prelazione sull’acquisto dell’immobile per destinarla ad un uso pubblico/sociale. 
In una missiva inoltrata al Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray, il sindaco il 7 ottobre scorso scrive: “il timore che una iniziativa privata, seppur legittima, possa confliggere con la naturale vocazione di un territorio ricco di storia e con gli obiettivi programmatici dell’amministrazione comunale che ho l’onore di guidare, è alto”. La lettera termina con la richiesta di un incontro per poter concertare “ogni possibile percorso che assicuri la tutela del patrimonio e un concreto rilancio del territorio”.
Nella stessa data, dalla Soprintendenza arriva una nota al Comune nella quale si comunica che è cominciato l’iter per l’eventuale esercizio del diritto di prelazione con le relative prescrizioni temporali. 
Nonostante, questa volta, il via libera in Consiglio Comunale ed il successivo passaggio per la fallita richiesta di un mutuo, Il Comune è costretto a rinunciare anche per il possibile sforamento del patto di stabilità. 
Il tutto serve solo a far passare dell’altro tempo, fino al crollo parziale del 5 febbraio 2014 di un balcone e di alcuni solai che si trascinano una parete dell’edificio laterale su di un muro di contenimento e i cavi dell’alta tensione della ferrovia.
Sotto la pioggia incessante è una valanga di detriti, polvere e scintille; la massa di calcinacci si riversa sui binari, con la conseguente interruzione della prima linea ferroviaria della penisola italiana!
A questo punto il Sindaco Nicola Marrone firma un’ordinanza inviata all’amministratore unico della società che ha acquistato l’immobile all’asta affinché provveda ad horas ad eseguire tutte le opere necessarie ad eliminare i pericoli per la pubblica e privata incolumità e a garantire la ripresa del traffico ferroviario.




Villa d’Elboeuf è solo lo specchio di questo paese: progetti pagati e dimenticati nei cassetti, idee che restano solo tali, irresponsabilità pubbliche e private, incuria, scarica barili, fallimenti, aste, speculazioni, burocrazia savoiarda, illusioni e chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere!
Se non ci si sveglia dal “doloso letargo”, molto presto Villa d’Elboeuf crollerà completamente e il tutto sarà, ancora una volta, ipocritamente liquidato da pochi minuti al TG Regionale che enfatizzerà, più che altro, l’interruzione della linea ferroviaria e i noti problemi nei trasporti regionali.
Nell’indifferenza generale, un’altra traccia del nostro Passato e uno dei simboli della Città che fu dimora di Re e Regine, verrà cancellata con un’ennesima ferita inflitta alla Memoria Storica, alla Dignità e all’Orgoglio di  tutto un Popolo! 
In qualsiasi altro paese, questo non sarebbe consentito; in questa Italia è la normalità! Tutto sommato è solo dal 1971 che il Miglio d’Oro è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità.
Sono tanti i colpevoli e il “ Campanellino Villa d’Elboeuf ” sta lì a significare “vergogna” e a mostrare al mondo intero il degrado in cui sopravvive della Gente che, sebbene colonizzata da 153 anni, ha quasi 3000 anni di Storia e Civiltà. 

Maurizio Vitale.
Pubblicato in News | Commenti disabilitati su Portici – Villa D'Elboeuf, una lenta agonia

Il Sistema Tributario del Regno delle Due Sicilie

Pubblicato in Dalla Storia | Commenti disabilitati su Il Sistema Tributario del Regno delle Due Sicilie

Eddy Napoli e Francesca Schiavo




Eddy Napoli, artista autenticamente meridionalista e ambasciatore nel mondo della canzone classica napoletana, oltre che autore della canzone-simbolo delle controcelebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita (“Malaunità”), protagonista al Teatro Augusteo di Napoli di una serata da non perdere (mercoledì 16 aprile ore 21) insieme all’altra grande ex voce solista femminile dell’Orchestra di Arbore, Francesca Schiavo. 
“Anema e core: una storia da raccontare” il titolo dello spettacolo. Un’occasione per immergersi nella tradizione culturale musicale più vera, un’occasione per salutare uno dei pochi protagonisti del mondo dello spettacolo e della cultura capace di accompagnarci, da anni, nel nostro percorso di verità e di orgoglio.

(info Teatro Augusteo 081 414243, prezzi da euro 15.00).  



Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su Eddy Napoli e Francesca Schiavo

Conferenza a Soverato

Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su Conferenza a Soverato

Eccellenze Campane

DAI PRIMATI ALLE QUESTIONI MERIDIONALI: 
PRESENTAZIONE E DIBATTITO A “ECCELLENZE CAMPANE” 


GIOVEDÌ 3  APRILE ORE 17.30 presso  “Eccellenze Campane”,  in via Brin, n. 69 a Napoli, 
“Il Sud dalla Borbonia Felix al carcere di Fenestrelle”. 

Presentazione del libro di Gennaro De Crescenzo e dibattito aperto sul tema: “Dalle industrie del Regno di Napoli alle questioni meridionali”.  Un’occasione per conoscere la verità storica e per “passeggiare” tra le eccellenze della nostra terra nel nuovissimo spazio di via Brin (parcheggio adiacente). Moderatore Roberto Natale.
(“Non sono italiano ma napoletano”) alla presenza di giornalisti, imprenditori e numerosi ospiti.
Tutti i presenti saranno chiamati ad esprimere, in sintesi, la loro tesi sul tema “Il Sud dalle industrie del Regno di Napoli alle questioni meridionali”. Le testimonianze saranno raccolte e pubblicate da Roberto Natale.
All’evento è stata invitata anche la “controparte” (proff. Alessandro Barbero, Renata De Lorenzo, Emanuele Felice…). Precedenti impegni, come comunicato con mail rispettivamente del 27 e del 28/4, impediscono ai proff. Felice e De Lorenzo di partecipare. Ulteriori contatti in corso per il prof. Barbero.
Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su Eccellenze Campane

La Storia Vera a Lamezia Terme

Pubblicato in Eventi | Commenti disabilitati su La Storia Vera a Lamezia Terme

Fulvio Izzo e Angelo Insogna





Nell’ anniversario della fine della resistenza militare borbonica a Gaeta (14 febbraio 1861), le Edizioni di Ar hanno pubblicato un libro dedicato alla straordinaria resistenza ‘miliziana’ di Sua Maestà la Regina Maria Sofia.
Fulvio Izzo, Un miliziano di Sua Maestà; Angelo Insogna, L’agonia d’un regno. 
Il volume, pubblicato dalle Edizioni di Ar nella collezione ‘I Masnadieri’, comprende  sia il saggio di Fulvio Izzo Un miliziano di Sua Maestà, sia lo scritto del miliziano stesso, Angelo Insogna, L’agonia d’un regno.
Dal risvolto di copertina: Maria Sofia fu incendiata per tutta la vita dal dèmone della vendetta. Ferma vendetta ella voleva trarre dei piemontesi usurpatori. A ogni costo. Anche a costo di dettare l’alleanza con il nemico ideologico: con i socialisti, con gli anarchici che pur le avevano ucciso Sissi, l’amata sorella. Senza pregiudizio, con tutti i mezzi. Anche la pistola di Gaetano Bresci, cui lei armò la mano. Se il miliziano Insogna intrecciava con il nemico del nemico la trama, Maria Sofia tendeva l’orditura per incrociarvela: a formare quel tessuto, dell’ ‘insorgimento’ dei popoli italiani meridionali contro il risorgimento savoino, che era una sorta di ‘disintegrazione del sistema’ ante litteram. Lo nota con sicuro disincanto Fulvio Izzo, che nella sua opera ci restituisce, disegnandoli con rigore documentale e interpretandoli con prezioso acume, tutti i casi di quell’incomune, inaudita avventura politica. Non sono i valori del ‘Risorgimento’ nazionale a spirare da queste pagine, la cui scrittura si ispira, invece, alle dignità feudali che qui insorgono come risorgive della sovranità naturale, pure risorgenze del rango, al contempo fiero e ferino, incarnato dalla Regina e dallo Scudiero. (A.V.K.)
Sulla copertina
Curzio Vivarelli, die Fehdereise (‘Il viaggio della vendetta’).
Il disegno di copertina rimanda al veliero che dall’America trasporta l’anarchico Gaetano Bresci in Italia.
Pp. 236. Edizioni di Ar, 2014. Euro 25,00


PER ACQUISTARLO
Libreria Ar, piazza della Libertà 11, Avellino. 
tel. 0825 32239; mail: info@libreriaar.com

Pubblicato in Novità editoriale | Commenti disabilitati su Fulvio Izzo e Angelo Insogna

Il Sigaro di Re Ferdinando



Il Sigaro Napoletano, tradizione da ritrovare 

Iniziativa Fondazione il Giglio Progetto CompraSud



Anche il Movimento Neoborbonico aderisce all’iniziativa di Umberto Prota e della Fondazione Il Giglio per il Progetto Comprasud. Quello del “sigaro napoletano” fino ai primi decenni del ‘900 era uno dei marchi che associava il nome di Napoli ad una produzione di qualità. Il sigaro che piaceva a re Ferdinando II, raffigurato in un celebre ritratto proprio con un sigaro tra le mani, era prodotto nel Regno delle Due Sicilie dalla metà dell’ ‘800, utilizzando tabacco della varietà “Kentucky” coltivato in Campania, ed era chiamato “Fermentato forte” prima di assumere la denominazione “Napoletano” che Maria Carolina d’Asburgo Lorena, ed a Napoli aveva incontrato successo.
Di forma cilindrica come gli “Avana”, (cfr. Giuseppe Bozzini,  Il signor sigaro, Mursia, Milano 1987) il “Napoletano” differiva leggermente dal “Toscano”.
Come altri marchi del Sud, il sigaro “Napoletano” non è stato tutelato e oggi si producono in Italia una trentina di varietà di sigari così denominati. In Italia la manifattura dei tabacchi era stata impiantata nel Granducato di Toscana per volere del Granduca Ferdinando III (1769-1824), che aveva sposato Luisa Maria Amalia di Borbone Napoli, figlia di Ferdinando IV e di “Toscano”, “Toscanello” e “Senese”, uno dei quali porta il nome di Garibaldi (!), il “Napoletano” è scomparso.
La proposta di recuperarlo è stata lanciata dall’imprenditore napoletano Umberto Prota, (titolare dell’antico negozio sartoriale “Arbiter”, Napoli, via Toledo 286) appassionato studioso di storia e tradizioni delle Due Sicilie. La  Fondazione Il Giglio, nel quadro del  Progetto CompraSud, che vuole unire produttori e consumatori sulla base della comune identità culturale, si associa alla proposta.
Attualmente i sigari Toscani sono prodotti dalle “Manifatture Sigaro Toscano”, antica azienda rilevata nel 2006 dal Gruppo Industriale Maccaferri, che possiede uno stabilimento a Cava de’ Tirreni (Salerno).
La ripresa della produzione del sigaro “Napoletano” avrebbe una ricaduta positiva in termini economici su territorio, agganciandosi al valore aggiunto del marchio, ma soprattutto, rilancerebbe in Italia e nel mondo un marchio che appartiene alla storia delle Due Sicilie. Ai consumatori meridionali, fumatori o non, chiediamo di sollecitare le “Manifatture Sigaro Toscano” (info@toscanoitalia.it) a riprendere la produzione del sigaro di re Ferdinando II.

(Lettera Napoletana 73/14).
Pubblicato in News | Commenti disabilitati su Il Sigaro di Re Ferdinando

La Strada Giusta


VECCHI, NUOVI, FINTI E VERI MERIDIONALISTI 

di 

Gennaro De Crescenzo




Dovremmo essere grati ai tanti che in questi anni (in particolare in era “post-Terroni”, e non è un caso) si sono impegnati in pubblicazioni e interventi sul Sud ma contro il Sud, più o meno famosi, più o meno documentati ma tutti accomunati da una grande visibilità (paginate intere di giornali, apparizioni televisive senza diritti di replica). Dovremmo essergli grati perché ormai gli schieramenti in campo sono chiari: quando si parla di questioni meridionali da un lato troverete i difensori della storia ufficiale, pronti a citarsi, a complimentarsi o a spalleggiarsi tra loro e a “sparare” contro l’altra parte: o contro Pino Aprile e i suoi “terroni” o contro i neoborbonici “brutti, sporchi e cattivi” come quei  loro re (i Borbone) che difendono e che vorrebbero far tornare dalle parti di Porta Capuana…  Nascono così i libri e gli interventi per dimostrare che i meridionali sono incapaci finanche di farsi aiutare (Stella e Rizzo) o per smantellare [senza riuscirci] i miti della Borbonia felix (De Lorenzo) o per dimostrare che il carcere di Fenestrelle era una specie di albergo a 5 stelle (Barbero) o per risolvere i problemi del Sud attribuendo al Sud le colpe dei suoi problemi [esattamente quello che ci dicono da 153 anni] (Felice) o [dopo essersene servito per oltre 150 anni], accusandolo di essere un vampiro che sottrae al Nord tutte le sue energie o invitandolo a seguire l’esempio positivo di chi suggerisce (magari ai nostri giovani) di emigrare (Ricolfi) o per sostenere con candido e invidiabile entusiasmo che se Renzi non ha mai neanche pronunciato la parola Sud nei suoi discorsi potrebbe anche essere un segnale positivo e “se vince Renzi [il nome del premier è sostituibile a piacere] vince il Sud” (Galasso)…  Se si trattasse solo di un dibattito culturale o se si trattasse solo di slogan della Lega Nord, potremmo pure divertirci. Il problema è che tutto questo è diventato e diventerà politica. E così sparisce il Sud dalle agende degli ultimi governi e finanche dai (finti) ministeri per il Sud e tra le origini dei (finti) ministri meridionali. E il tutto diventa più grave perché spesso a sostenere queste tesi sono proprio intellettuali e/o politici meridionali che intervengono sul tema come se fossero dei “passanti stranieri” e non personalità rappresentative, per decenni, della cultura e della politica locale e nazionale o come se non fossero gli eredi (culturali o -molto spesso- genetici) di quelle classi dirigenti complici di un sistema nord-centrico da 153 anni, appiattite su posizioni culturali identiche a se stesse (antiborboniche ieri come oggi, antimeridionali ieri come oggi) e in regime di monopolio culturale assoluto anche se con diverse crepe proprio negli ultimi anni (sono ormai tanti -troppi per i loro gusti-  i ricercatori anche accademici che dimostrano la fondatezza di tesi quali quella delle buone condizioni di finanze o industrie delle Due Sicilie o dei complotti anglo-massonici-camorristici che le distrussero e così via). E il bello (quasi comico se non si trattasse di cose tragiche, da analisi psicanalitica più che storiografica) è che gli stessi personaggi accusano gli altri di sostenere “tesi consolatorie o autoassolutorie” mentre gli altri (Pino Aprile o i neoborbonici per fare gli esempi più ricorrenti) sostengono l’esatto contrario: la necessità di conoscere il passato, di ritrovare l’orgoglio perduto, di cancellare quelle classi dirigenti complici da 153 anni e capaci solo di difendere interessi e posizioni personali, di pretendere (se è vero che siamo tutti cittadini italiani ed europei) pari condizioni Nord/Sud… Con fatica, con molti “nemici” e con molti ostacoli, anche solo dando un occhio a certe reazioni o ai consensi crescenti finora raccolti, potremmo dire che siamo sulla strada giusta.





Pubblicato in L'opinione | Commenti disabilitati su La Strada Giusta