Napoli Svelata

di Antonio Tortora



In un antico poema si legge: “in mancanza di un chiodo si perse il ferro di cavallo, in mancanza del ferro di cavallo si perse il cavallo, in mancanza di un cavallo si perse un cavaliere, in mancanza di un cavaliere si perse la battaglia, in mancanza di una battaglia si perse il regno”. 
Si tratta di una metafora o comunque di una figura retorica, da taluni attribuita a uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America Benjamin Franklin, che sta a significare l’importanza che i dettagli rivestono circa il funzionamento di un’idea. 
Dunque lo stesso concetto espresso da un’idea dipende anche e soprattutto dalla gestione di una serie di dettagli che, tutto sommato, hanno la loro importanza. 
Che cosa vogliamo dire? Che quando il fotografo partenopeo Mario Zifarelli e il sottoscritto, rispettivamente autore e curatore della mostra “Napoli Svelata”, abbiamo cominciato a percorrere strade, piazze e vicoli della nostra città, ci siamo resi conto di quanto la sua realtà storica sia complessa nonché di quanto le sue stratificazioni culturali siano profonde.
Ma ci siamo anche accorti, procedendo nell’esame degli innumerevoli segni che compongono l’arte delle Chiese, dei palazzi storici, degli obelischi e dei chiostri unitamente ai giardini, alle antiche mura e alle cavità sotterranee, che esiste un linguaggio che parla direttamente al cuore più che alla mente dell’osservatore e che può essere decifrato con maggiore o minore sforzo a seconda del grado di sensibilità e di consapevolezza individuali. 
Ciò avviene attraverso profonde emozioni primarie che vanno a intrecciarsi con linee energetiche che promanano proprio dagli oggetti esaminati e dunque dagli stessi dettagli che hanno attirato la nostra attenzione. 
In altre parole si è creato un legame e abbiamo sentito l’esigenza di riprodurre visivamente, attraverso la fotografia, il punto in cui energia ed emozione si incontrano. 
Per meglio comprendere la traccia profonda che lascia tale processo di conoscenza ci si potrebbe rifare ai “luoghi di potere” che l’indio Yaqui don Juan Matus indica al discepolo – scrittore peruviano Carlos Castaneda; si tratta di luoghi che accettano la presenza del pellegrino e gli consentono di stare energeticamente bene con sé stesso e con la natura. 
Ebbene in alcuni anzi in moltissimi luoghi della nostra bella Napoli c’è un potere straordinario e un fluido energetico che riemerge dalle profondità della terra e del tempo, attraverso obelischi, luoghi sacri, statue, pozzi e altari che svolgono la funzione di veri e propri portali. 
Ecco il perché di quello che può apparire un vero e proprio azzardo esoterico ovvero la similitudine fra concezione energetica vetero-tolteca Yaqui del Messico e portale energetico partenopeo. 
L’unica differenza, a nostro avviso, consiste nel fatto che Don Juan riveste il delicato ruolo di Nagual ovvero di guida sciamanica molto potente mentre Mario Zifarelli ricopre il ruolo di fotografo molto bravo e il sottoscritto si esercita nell’arte della curiosità sempre fedele al proprio istinto di ricerca; istinto che la città non ha mai deluso.
A questo punto è cominciata un’avventura che ci ha consentito di scoprire una sorta di matematica nascosta negli eventi della vita quotidiana e nelle intercapedini del campo visivo in cui abbiamo individuato oggetti, strutture e ambienti; una matematica che, ovviamente, obbedisce a regole non facilmente decifrabili. 
Si è trattato di un vero e proprio viaggio all’interno di frattali nascosti nelle opere dell’uomo, per esempio un campanile, e nella natura, per esempio un blocco di tufo; infatti sono molti gli oggetti che si ripetono, per forme e modalità, su scale diverse e che nascondono messaggi archetipici. Cosicché il collegamento e le corrispondenze tra i frattali e la struttura della mente umana – come ha osservato il geniale matematico polacco Benoit Mandelbrot – sono davvero profondi e misteriosi. 
A questo punto però non vorremmo perderci tra frattali, algoritmi e teoria del caos, bensì è nostra intenzione chiarire quello che ci è parso di comprendere e di cui siamo ormai certi, e cioè che Napoli custodisca un messaggio universale. 
Peraltro ci piace costruire un parallelismo tra un concetto espresso proprio dal fisico Mandelbrot in occasione di una prolusione tenuta al Technology Entertainment Design – TED Conference, nel febbraio 2010, “meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all’infinito” e un concetto che Mario Zifarelli ed io abbiamo ben compreso nel corso dei nostri studi sulla città “meraviglie senza fine saltano fuori dai dettagli che costellano Napoli se questi vengono attentamente osservati e soprattutto impressi su una lastra fotografica”. 
Si perché Napoli è straordinaria anche e soprattutto nei dettagli ovvero in quelle minime parti che sono destinate a comporre un insieme ormai conosciutissimo in tutto il mondo ma ancora da svelare nei suoi particolari celati o comunque non sempre chiaramente visibili anche agli occhi degli stessi napoletani. Ed è proprio ciò che si propone la mostra “Napoli Svelata”.
Riteniamo, ancora una volta nello spirito del TED Conference che ha come motto: “ideas worth spreading” ovvero “idee degne di essere diffuse”, che si tratti di immagini minimaliste ma fondamentali che meritano davvero di essere diffuse.
E noi ci proviamo a diffonderle con la caparbietà di chi non si arrende in una città dove, probabilmente, i cittadini hanno perso il contatto con un territorio che attende solo di essere riscoperto con i suoi molteplici significati.
Dalle 26 immagini originarie esposte, nel novembre del 2012, presso il Comitato dell’Avana della Società Dante Alighieri 
(http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=38988) 
gli scatti sono più che raddoppiati e la scelta diventa difficile poiché più si penetra nella dimensione simbolica di una Napoli ben lontana dall’essere completamente decifrata, e maggiormente l’osservatore comprende che “si parva licet componete magnis”, come asserisce Virgilio nel quarto libro delle Georgiche, ovvero che “se è lecito mettere a confronto le cose piccole con quelle grandi”, allora ogni fotogramma scattato da “Zif” rende bene l’dea complessiva dell’opera il cui particolare è stato sapientemente riprodotto.
Mentre Virgilio nella sua sapienza poetica maturata, mirabile dictu, proprio nella nostra città, alludeva al lavoro instancabile delle api mettendolo a confronto con quello dei Ciclopi, Mario Zifarelli, nella sua sapienza fotografica, mirabile visu, sottolinea l’importanza del dettaglio con cui si è sintonizzato senza mai trascurare la maestosità dell’opera dinanzi a lui inquadrata dall’obiettivo. 
E’ questione di punti di vista oltre che di conoscenza tecnica. In questi casi, infatti, è richiesta una maggiore concentrazione mentale e visiva non disgiunta da una sensibilità particolare che pur osservando le stesse cose di tutti i giorni “ti fa scoprire paesaggi e contenuti nuovi guardando con occhi diversi e con un atteggiamento interiore mutevole” per parafrasare, adeguandola alle circostanze, un significativo aforisma di Marcel Proust.
Ancora non sappiamo dove esporremo gli scatti in bianco e nero di Zif, se al Pan o a Castel dell’Ovo, se in un palazzo storico o in una antica Chiesa o addirittura all’estero, resta di fatto che la Rai, mostrando grande interesse per l’iniziativa, gli ha dedicato di recente un bellissimo servizio giornalistico (http://www.youtube.com/watch?v=PxMf34Ww_qI)  da cui è possibile risalire immediatamente alle intenzioni e alle finalità della mostra stessa. 
Riteniamo che l’esposizione delle suggestive istantanee sia un vero e proprio omaggio alla città che, in questi tempi difficili e nonostante si cerchi di farla rimanere nell’ombra, chiede di essere riscoperta.
14/6/2013.
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