Lino Patruno

BENVENUTI ALLA FIERA DEI DANNI AL SUD

Il Sud è un ulivo morto e nessuno se ne importa. Ma purtroppo gli ulivi di Puglia non sono l’unica occasione per ricordare il grande Pino Daniele e il suo struggente canto su Napoli. Perché non soltanto di ulivi si lascia scomparire il Sud. Basta seguire la cronaca per fare il pieno di cattive notizie: dacci oggi il nostro danno quotidiano al Sud.
Danno numero 1. Questa storia dello scalo ferroviario Lecce-Surbo, cui avrebbero dovuto affidare la manutenzione completa dei treni Frecciabianca (Freccia si fa per dire) che collegano Lecce al Nord (Milano, Torino, Venezia). Impegno solenne di Trenitalia nel luglio scorso. Sono bastati solo otto mesi per il dietrofront: i 35 milioni vanno quasi tutti a Mestre, solo briciole a Surbo come impianto satellite che si occuperà solo della piccola manutenzione delle carrozze. Proteste dei parlamentari pugliesi? Non pervenuto, tranne il solito Rocco Palese, già noto per il suo record di presenze e di impegno alla Camera.
Danno numero 2. Fresco fresco il Def, documento di economia e finanza, insomma il programma per un anno. Occorre tagliare, visto che la famosa ripresa è ancòra chiacchiere e la crescita delle tasse tutt’altro che chiacchiere. E indovinate dove si taglia? Sull’alta capacità Bari-Napoli, quella strombazzata ferrovia attesa da oltre 150 anni e prevista per il 2028. E visto di quali stratosferici collegamenti gode il Sud, tagli anche alla statale (si rifà per dire) Jonica, quella che ci mette otto ore per farti arrivare a Crotone, mentre sugli adiacenti binari sbuffa una littorina stile Far West. La Regione Puglia chiederà chiarimenti a Roma, dove staranno tremando.
Danno numero 2 bis. Ma di quanto e dove i tagli di questa spesa pubblica? Conteggio della Svimez (l’Associazione a difesa degli interessi del Sud): al Sud del 6,2 per cento in rapporto al Pil (il reddito prodotto), al Centro Nord del 2,9. Traduzione: non solo aumento invece che riduzione del divario, ma aumento del divario ai danni del Sud e finanziato anche con i soldi delle tasse del Sud. Il Sud assiste il Centro Nord.
Danno numero 3. Bilancio della legge Obiettivo, quella che avrebbe dovuto velocizzare le opere pubbliche, ovviamente specie al Sud, e ridurre il divario di infrastrutture fra le due Italie. Evidentemente il divario doveva essere a danno del Nord, visto che al Nord è andato il 74,4 per cento dei lavori e al Sud il 25,6 per cento. Sì, ma con il Fondo per le opere di interesse strategico sarà andata diversamente: l’83,5 per cento al Nord, il 16,5 al Sud. Va bene, ma ci sono sempre i fondi dello Sbloccacantieri: il 70,1 per cento al Centro Nord, il 29,9 al Sud. Con differenza di percentuali aumentate rispetto a un anno fa. E con spesa pubblica che accresce il divario invece di ridurlo. Ciliegina: anche dove al Sud i lavori sono finiti (e sappiamo che sono l’opposto di Mennea), lo Stato non salda i conti, mancando ancòra all’appello il 32 per cento del dovuto. Con prevedibile giubilo delle imprese meridionali impegnate. Che, se falliscono, è perché sono le solite imprese meridionali.
Danno numero 4. Il Sud continua a perdere iscrizioni all’università: il 15 per cento in meno (rispetto a un 1 per cento di calo al Nord). Effetto crisi. Ma anche effetto di una sedicente meritocrazia che è piuttosto una licenza di uccidere. Meno possibilità di sostituire i docenti che vanno in pensione dove le università incassano di meno dalle tasse (sembrava che far pagare di meno fosse un titolo di merito). Meno fondi alle università i cui studenti trovano più tardi il lavoro: la disoccupazione diventa una colpa da punire non un problema da affrontare.
Varie ed eventuali. Già nota la sottrazione di 3,5 miliardi di cofinanziamento statale al Sud per i programmi europei: servivano per gli incentivi alle aziende che assumono (siccome le aziende sono soprattutto al Nord, coi soldi del Sud si finanziano le assunzioni al Nord: il Sud assiste di nuovo il Nord). Investimenti delle Ferrovie dello Stato: 98,8 per cento da Firenze in su, 1,2 per cento da Firenze in giù. Ma da Firenze in su non c’è già l’Alta velocità? Non facciamo polemiche.
Nel 1952 il consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno rievocò la figura del suo primo direttore generale. Era milanese, si chiamava Alfredo Scaglioni, morì giovane dopo due anni di impegno. Il suo merito, dice il verbale, fu far capire al suo Nord che l’intervento pubblico al Sud e la riduzione del divario si sarebbero tradotti in un “manifesto vantaggio” per il Nord. Ché anzi “la grande riserva dell’incremento della ricchezza nazionale” è ormai soprattutto nel progresso del Sud.
Sono passati più di sessant’anni. Invece che Scaglioni abbiamo Salvini. E invece che ricchezza nazionale, stiamo alle pezze. Finora abbiamo letto perché.

 

 

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