Il monumento abbandonato

Foto di Angelo Forgione
LA GUGLIA DI RUFFO
IL MONUMENTO
ABBANDONATO

Qualche anno fa avevamo affrontato il problema del grave stato di abbandono in cui versa la Guglia del Cardinale Ruffo, annessa alla chiesa di Santa Maria di Portosalvo.
Avviammo una serie di azioni, anche indirette, ma talmente fastidiose che, alla fine, eravamo riusciti a smuovere dalla scrivania di “un ufficio dormiente” la pratica che autorizzava il restauro dell’importante monumento.
Festeggiammo l’inizio dei lavori, ma a quanto pare, è stata “una falsa partenza”.
Occorre un’altra spallata, di quelle possenti…… Provvederemo.
Cap. Alessandro Romano
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Il Movimento Neoborbonico
aderisce all’iniziativa promossa dall’Editoriale Il Giglio
Il Comune di Napoli paga per mantenere nel degrado e nell’abbandono il patrimonio artistico della città. Un clamoroso esempio di questo assurdo è rappresentato dal restauro della chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Portosalvo, in via Marina, e della annessa Guglia che ricorda la vittoria del 1799 sulle truppe d’invasione francese.
Cominciati nel 2004, i lavori di restauro, finanziati dal Ministero per i Beni culturali, sono stati affidati dal 6 aprile 2009, con un accordo firmato da Comune di Napoli, Curia Arcivescovile e Soprintendenza ai Beni Architettonici, alla Impredcost s.r.l., poi diventata Grandi Progetti, impresa che esegue “a costo zero” lavori di restauro di monumenti in cambio delle vendita di spazi pubblicitari sulle facciate di chiese ed edifici, che vengono così trasformate in enormi pannelli pubblicitari. Il fitto dei maxi-tabelloni pubblicitari montati dalla Grandi Progetti  sulle quattro facciate della cinquecentesca Chiesa di Portosalvo rende 100 mila euro al mese, secondo dati pubblicati dal Corriere del Mezzogiorno (21.12.2010) per un totale di tre milioni di euro fino ad oggi.
Tra gli inserzionisti pubblicitari c’è l’assessorato alla cultura del Comune di Napoli, che ha acquistato uno spazio per il “Forum delle Culture 2013”. Il Comune paga per un restauro del quale non si intravede la fine, che avrebbe invece dovuto essere ultimato entro 24 mesi dalla firma del contratto. Sul “cantiere” del restauro manca la tabella con esecutori e tempi dei lavori, che sarebbe prevista per legge. La Chiesa di Portosalvo e la Guglia del 1799 sono imbragati da tubi ed impalcature in legno, i giardinetti circostanti sono occupati da barboni ed immigrati che vi abbandonano resti di cibo e bottiglie. Il contesto è quello di un degrado vergognoso. Costruita nel 1554 e sede di una Confraternita di marinai che veneravano l’immagine della Vergine di Portosalvo, la chiesa contiene dipinti della metà del ‘500 attribuiti a Filippo Vitale, statue e gruppi scultorei del ‘600 e del ‘700, soffitti lignei ed affreschi di grande pregio, con un dipinto di Battistello Caracciolo, La gloria della Vergine. La guglia in piperno realizzata nel 1799 per celebrare la vittoria napoletana sugli invasori francesi, accoglie quattro medaglioni in marmo, opera dello scultore Angelo Viva, uno dei quali è stato rubato da tempo. Gli altri raffigurano la corona di spine del martirio di Gesù, la Madonna di Portosalvo, San Gennaro e Sant’Antonio di Padova, e riportano le strofe del Vexilla Regis. Per la chiesa di Portosalvo e la Guglia del 1799 è SOS. C’è bisogno urgente di sottrarli allo stato di vergognoso degrado in cui si trovano a causa dell’incuria e dell’indifferenza degli amministratori nei confronti della nostra storia e della nostra cultura (Lettera Napoletana 45/11). Link con immagini www.editorialeilgiglio.it  .
Invia una mail al Comune di Napoli ( sindaco@comune.napoli.it  ).
Esempio di testo: “Al Sig. Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Le chiedo di intervenire urgentemente per sottrarre al vergognoso stato di abbandono e di degrado la Chiesa di S. Maria di Portosalvo in via Marina e l’annessa Guglia in piperno. Il Comune di Napoli imponga tempi certi per il restauro dei due monumenti e ritiri ogni sponsorizzazione alla ditta incaricata fino al completamento dello stesso restauro. FIRMA”.
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Portosalvo, la guglia della storia abbandonata

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I lavori dovevano durare 24 mesi massimo, e ne sono passati 31 senza che sul cantiere vi lavori qualcuno. E intanto il Comune di Napoli è inserzionista per il Forum delle Culture.
Immacolata, San Gennaro, San Domenico, Materdei e Portosalvo. Sono i cinque obelischi di Napoli, ma uno di questi è abbandonato. È quello antistante la chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Portosalvo e la fontana “della maruzza”. La troviamo all’altezza dell’Immacolatella, alla biforcazione di Via Marina e Via De Gasperi, in uno stato di degrado che riguarda anche l’edificio religioso e la fontana.
È un simbolo della storia di Napoli relegato all’oblio e sacrificato alla storia unitaria. La guglia fu infatti realizzata dopo la riconquista del Regno di Napoli da parte del Cardinale Fabrizio Ruffo che, alla testa dell’esercito della “Santa Fede”, scacciò i giacobini restituendolo ai Borbone quanto sottratto dalle truppe francesi al comando del generale Championnet. A dieci anni dalla Rivoluzione Francese, la “Repubblica Partenopea”, ebbe vita breve e quella guglia suggellò la consegna alla storia di un avvenimento storico finito positivamente per i reali napoletani.
San Gennaro aveva avuto un ruolo, piegandosi alle minacce di Championnet che ne impose lo scioglimento del sangue, e fu tacciato di tradimento. Il Cardinale Ruffo destituì il Santo campano e lo sostituì con Sant’Antonio da Padova di cui ricorreva la festività nel giorno dell’ingresso a Napoli con l’esercito dei sanfedisti ingrossato dal popolo di Napoli urlante a gran voce “Viva ‘o Rre!”. Nonostante l’amnistia concessa da Ruffo, cominciarono a saltare tante teste in piazza Mercato per la sete di vendetta dell’ammiraglio inglese Nelson, fiero oppositore dei francesi, e della Regina Maria Carolina ancora traumatizzata dalla decapitazione della sorella Maria Antonietta a Parigi. Era ancora l’epoca delle esecuzioni capitali previste dalle leggi contro i colpevoli di attentati allo Stato legittimo.
L’obelisco celebrativo fu realizzato in piperno, con forma piramidale sormontata da una croce, e vi furono apposti sui quattro lati dei medaglioni di marmo raffiguranti la Madonna di Portosalvo, Sant’Antonio, San Francesco di Paola a cui i Borbone erano devoti e San Gennaro con cui ci si volle così riconciliare. I realisti non ce lo volevano sul monumento e nemmeno il popolo che aveva cominciato a chiedere grazie a Sant’Antonio. Ma Ferdinando IV pronunciò parole di riconciliazione in vista della ricorrenza del 19 settembre e fece in modo che la città ritornasse fedele al suo Santo cui era dedicato tra le altre cose il più importante corpo morale del Regno delle due Sicilie, l’Ordine di San Gennaro, riservato ai capi delle grandi famiglie del Regno e dei fedeli alla dinastia.
Qualche anno più tardi, l’obelisco divenne il simbolo di una storia da cancellare, quella della monarchia napoletana cacciata prima da Napoleone e poi da Garibaldi, ed è già miracoloso che il monumento, così come le due statue equestri al Plebiscito, sia scampata alla furia iconoclasta dei repubblicani. Probabilmente si salvò perché simbolo religioso anche se i bassorilievi cominciarono ad essere razziati.
Nel 1998, il Consiglio Comunale di Napoli discusse l’opportunità di un’integrazione culturale che accogliesse una più ampia valutazione storica nel corso delle celebrazioni del bicentenario del 1799. In sostanza la città decise la rivalutazione di ogni periodo storico, a prescindere che si trattasse di vinti o vincitori. Fu proposto che la degradata guglia borbonica e l’area circostante fossero restaurate. La discussione trovò il consenso dell’allora sindaco Bassolino e fu approvata all’unanimità.
A quella decisione seguì l’avvio dei lavori di restauro nel 2004, poi interrotti senza che l’obelisco e la Chiesa di Santa Maria di Portosalvo uscissero della rovina. La memoria storica della città è ancora sotterrata mentre, in epoca di celebrazioni dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia, i monumenti e le statue dedicati agli eroi del Risorgimento hanno ritrovato splendore e visibilità. A cento metri dall’area di Portosalvo, il monumento equestre di Vittorio Emanuele II è il protagonista di un’apprezzabile riqualificazione urbana che evidenzia un contrasto ideologico deleterio per il decoro della città. In realtà l’area pedonale tra la fontana “della maruzza” e l’obelisco è stata riqualificata e sono i monumenti a versare in condizioni pessime. La guglia è ingabbiata da una struttura metallica circondata da rifiuti, avanzi di cibo e bottiglie rilasciati dagli extracomunitari che bivaccano ed esercitano l’attività di lavavetri in zona. La fontana, già danneggiata, è solo una vasca che al posto dell’acqua contiene spazzatura di ogni tipo. Identica situazione per la chiesa che è anche interessata dal paradossale ruolo del Comune di Napoli che ha siglato un accordo con la Curia Arcivescovile e la Soprintendenza ai Beni Architettonici per il restauro, finanziato dal Ministero per i Beni culturali. I lavori sono stati affidati dal 6 aprile 2009 alla “Impredcost”, poi divenuta “Grandi Progetti”, un’impresa che esegue restauri di monumenti a costo zero in cambio della vendita di spazi pubblicitari sulle facciate di chiese ed edifici.
 Sulle quattro facciate della chiesa di Portosalvo sono stati installati dei remunerativi maxi-tabelloni. Tra gli inserzionisti pubblicitari c’è l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli che ha acquistato uno spazio per il “Forum delle Culture 2013”. Alla firma, fu stabilito che il restauro si sarebbe completato entro 24 mesi ma ad oggi ne sono passati 31 e sul cantiere non ci sono ne operai ne alcuna tabella che indichi impresa appaltatrice e tempi di lavorazione come prevede la legge.
La chiesa, costruita nel 1554 per una confraternita di marinai che veneravano l’immagine della Vergine di Portosalvo, custodisce dipinti della metà del ‘500 attribuiti a Filippo Vitale, statue e gruppi scultorei del ‘600 e del ‘700, soffitti lignei ed affreschi di pregio tra cui un dipinto di Battistello Caracciolo.
L’importanza della chiesa e della guglia richiedono il rispetto dell’intera storia di Napoli.
Angelo Forgione
Movimento V.A.N.T.O.
(Valorizzazione Autentica Napoletanità a Tutela dell’Orgoglio)

Foto di Angelo Forgione