Il Brigante Villella torna a casa


IL TRIBUNALE DISPONE LA RESTITUZIONE DEL CRANIO DI    GIUSEPPE VILLELLA
Cronaca 
di una prima battaglia vinta


Con una sentenza unica e, oseremo dire, storica, il Tribunale di Lamezia Terme il 5 ottobre 2012 ha intimato al Museo del Lombroso di Torino di restituire al Comune di Motta Santa Lucia il cranio del Brigante Giuseppe Villella, condannando i resistenti al pagamento delle spese processuali, per il trasferimento e per la tumulazione del resto umano.
Un precedente importante che, oltre a confermare la mostruosità di una vicenda dolorosa e raccapricciante che a partire dal 1861 e per ben 12 anni ha visto vittima la popolazione dell’ex Regno delle Due Sicilie, mette una seria ipoteca sulle altre migliaia di resti umani ancora in “bella” mostra a Torino.
Tutto ha inizio nel 2009, quando avvertiti dai nostri attivisti torinesi dell’imminente riapertura del Museo del Lombroso grazie ai fondi del 150esimo, la Presidenza del Movimento decise di iniziare una battaglia affinché quella mostruosità fosse in qualche modo delegittimata dal titolo di museo.
Innanzitutto occorreva puntare su un dato certo sul quale, poi, costruire un “fumus giuridico” indispensabile per una eventuale battaglia legale.
Di quella enormità di resti umani messi in mostra in quell’incredibile museo degli orrori, riuscimmo ad individuare un dato certo: il cranio del Brigante Giuseppe Villella.
Fu allora che il Presidente del Movimento Neoborbonico contattò telefonicamente il sindaco del piccolo comune calabrese al quale, quindi, inviò la seguente lettera:
Gentilissimo Sindaco,
come concordato telefonicamente, Le invio richiesta-sintesi della questione-Lombroso. L’eventuale atto dovrebbe essere inviato al Ministro della Giustizia (competente per i musei criminologici), al Direttore del Museo Criminologico di Torino “Cesare Lombroso” e,  per conoscenza, magari al Ministro dei Beni Culturali.
Mi ritenga a Sua disposizione per qualsiasi altra informazione.
Cordialissimi saluti.
Napoli, 27 ottobre 2009
Prof. Gennaro De Crescenzo
Il sindaco di Motta Santa Lucia che non conosceva Lombroso ed ignorava totalmente quella storia e quanto accadde in quei tremendi anni nel meridione d’Italia, chiese al nostro Movimento un supporto documentale-tecnico ed una dettagliata relazione per procedere, con una delibera di giunta e con una eventuale rivendicazione giudiziaria, nei confronti di chi deteneva illegittimamente i resti umani di un cittadino mottese.
Immediatamente da Napoli vennero inoltrate copie dei documenti fondanti quella atrocità e la seguente relazione che, subito dopo, diventò il corpo di una delibera e di un successivo ricorso all’ autorità giudiziaria.
Il 27 novembre riaprirà (dopo un costosissimo restauro) il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino.
Presso lo stesso museo crani e altre sezioni del corpo di centinaia di “briganti” meridionali (mescolati con quelli di criminali e malati di mente), giacciono in una sorta di “fossa comune” e saranno esposti in quell’occasione in grande evidenza.
Tra i pochissimi resti identificabili quelli di Giuseppe Villella, presunto “brigante” nato a Motta Santa Lucia nel 1803 e morto in carcere a Pavia nel 1872.
PREMESSA
– Le più recenti e aggiornate ricerche storiografiche testimoniano ormai definitivamente la natura politica del cosiddetto “brigantaggio” post-unitario, fenomeno vasto, articolato e tutt’altro che inquadrabile in un contesto di ordinaria delinquenza o di follia criminale (v. la Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato, a cura del Ministero per i Beni Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici).
– Il “brigantaggio” fu un fenomeno drammatico con conseguenze pesantissime ai danni delle popolazioni meridionali ed in particolare calabresi e lucane con episodi intollerabili di violenza che arrivarono fino alla decapitazione sistematica della nostra gente da parte delle truppe piemontesi (Fondo Brigantaggio, Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Busta 60);
– Le teorie di Cesare Lombroso, molto spesso legate alle origini dello stesso razzismo nazista, hanno rivelato tutta la loro inattendibilità scientifica.
–  Lo stesso Lombroso fu per diversi anni medico al seguito delle truppe piemontesi (circa 120.000 unità) impegnate nella sanguinosa repressione del “brigantaggio” nelle Calabrie e nel resto dell’ex Regno delle Due Sicilie.
– In maniera del tutto immotivata dal punto di vista scientifico, Cesare Lombroso fece di Giuseppe Villella  il simbolo della sua folle teoria sulle “fossette occipitali” e, quindi, il simbolo di tutta la delinquenza calabrese e meridionale contribuendo in maniera nefasta alla creazione di preconcetti razzisti (e mai del tutto cancellati) nei confronti della nostra gente giudicata “geneticamente inferiore” o “pericolosa”.  
– A 150 anni dall’unificazione italiana ed in vista di celebrazioni che, secondo i pareri più diffusi, ormai, dovrebbero essere finalizzate alla ricostruzione di una memoria
storica nazionale finalmente condivisa,
SI RICHIEDE
la restituzione dei resti di Giuseppe Villella. 
In seguito alla restituzione si provvederà finalmente ad una dignitosa sepoltura presso il cimitero comunale, con la celebrazione di una Messa in Suffragio e l’organizzazione di unconvegno di studi aperto alla partecipazione di studiosi locali, nazionali e internazionali.
La restituzione dei resti di Giuseppe Villella avrebbe un profondo valore simbolico come gesto di vera riconciliazione nazionale, segno della sempre più necessaria ricostruzione della verità storica e dell’attesa restituzione di giustizia e dignità nei confronti di Giuseppe Millella, dei suoi eredi, dell’intera cittadinanza di Motta Santa Lucia, simbolo, infine, del riscatto di tutte le popolazioni calabresi e meridionali.  
Immediatamente iniziò una battaglia mediaticapromossa dal Movimento sia a livello locale che nazionale, mentre i nostri attivisti di Torino raccoglievano dati e notizie sulle iniziative e contromosse delle autorità locali. La Rete, dal canto suo, “martellava” sulla storia del Lombroso, sulle atrocità e gli esperimenti” commessi dai medici militari piemontesi sulle inermi popolazioni meridionali.

——
MOVIMENTO NEOBORBONICO
Napoli, via Cervantes 55/5, 80133, neoborbonici.it
COMUNICATO STAMPA
Riaperto il “museo degli orrori” di Lombroso:
dopo 150 anni il Comune di Motta Santa Lucia chiede al Ministro Alfano la restituzione dei resti dei “briganti” meridionali.
Su proposta del Movimento Neoborbonico, il sindaco di Motta Santa Lucia (Catanzaro), avv. Amedeo Colacino, ha fatto approvare, all’unanimità, un’apposita delibera (allegata al comunicato) già inviata al Museo torinese di Lombroso e ai Ministri competenti (per la Giustizia e per i Beni Culturali)…
A pochi giorni dalla riapertura del Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” di Torino, è stata richiesta al Ministro della Giustizia Alfano e al Direttore del Museo torinese la restituzione dei resti dei cosiddetti “briganti” ancora esposti nelle vetrine del museo dedicato al famoso “scienziato” veneto-piemontese le cui teorie sono state utilizzate anche dallo stesso nazismo e sono state nettamente smentite dalla scienza ufficiale.
Cesare Lombroso, infatti, teorizzò l’inferiorità della “razza meridionale” che sarebbe stata geneticamente portata alla delinquenza, sulla base di studi legati alla misurazione centinaia di resti e di crani prelevati al seguito delle truppe piemontesi che invasero il Regno delle Due Sicilie e massacrarono migliaia di meridionali che si erano ribellati a quell’invasione cancellandoli dalla storia come “briganti”.    
I danni procurati da quelle teorie, del resto, sono ancora enormi solo se si pensa alla quantità di luoghi comuni e di episodi di razzismo che i meridionali subiscono sistematicamente.
Molti di quei resti ed in particolare quelli del calabrese Giuseppe Villella, originario di Motta Santa Lucia (Catanzaro) sono ancora al centro di quel museo e non hanno mai avuto un’adeguata e cristiana sepoltura e quel rispetto che dopo tanto tempo meriterebbero.  
Anche in vista delle celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita, la restituzione dei resti potrebbe essere un gesto di vera riconciliazione nazionale nell’ottica dell’attesa e necessaria ricostruzione della verità storica. 
Ufficio stampa
347 8492762; 392 2160964  


Sulla base del tracciato storico-documentale fornito dal Movimento Neoborbonico, il sindaco procedette sia nella Giunta che nel Consiglio Comunale secondo quanto concordato.


 Proposta di Deliberazione:
“Determinazioni per la restituzione dei resti del  concittadino Giuseppe Villella.”
Il Sindaco relaziona sull’oggetto della Deliberazione:
Il 27 novembre riaprirà (dopo un costosissimo restauro) il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino.
Presso lo stesso museo crani e altre sezioni del corpo di centinaia di “briganti” meridionali (mescolati con quelli di criminali e malati di mente), giacciono in una sorta di “fossa comune” e saranno esposti in quell’occasione in grande evidenza.
Tra i pochissimi resti identificabili quelli di Giuseppe Villella, presunto “brigante” nato a Motta Santa Lucia nel 1803 e morto in carcere a Pavia nel 1872.
SI PREMETTE CHE:
– Le più recenti e aggiornate ricerche storiografiche testimoniano ormai definitivamente la natura politica del cosiddetto “brigantaggio” post-unitario, fenomeno vasto, articolato e tutt’altro che inquadrabile in un contesto di ordinaria delinquenza o di follia criminale (v. la Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato, a cura del Ministero per i Beni Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici).
– Il “brigantaggio” fu un fenomeno drammatico con conseguenze pesantissime ai danni delle popolazioni meridionali ed in particolare calabresi e lucane con episodi intollerabili di violenza che arrivarono fino alla decapitazione sistematica della nostra gente da parte delle truppe piemontesi (Fondo Brigantaggio, Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Busta 60);
– Le teorie di Cesare Lombroso, molto spesso legate alle origini dello stesso razzismo nazista, hanno rivelato tutta la loro inattendibilità scientifica.
–  Lo stesso Lombroso fu per diversi anni medico al seguito delle truppe piemontesi (circa 120.000 unità) impegnate nella sanguinosa repressione del “brigantaggio” nelle Calabrie e nel resto dell’ex Regno delle Due Sicilie.
– In maniera del tutto immotivata dal punto di vista scientifico, Cesare Lombroso fece di Giuseppe Villella  il simbolo della sua folle teoria sulle “fossette occipitali” e, quindi, il simbolo di tutta la delinquenza calabrese e meridionale contribuendo in maniera nefasta alla creazione di preconcetti razzisti (e mai del tutto cancellati) nei confronti della nostra gente giudicata “geneticamente inferiore” o “pericolosa”.  
– A 150 anni dall’unificazione italiana ed in vista di celebrazioni che, secondo i pareri più diffusi, ormai, dovrebbero essere finalizzate alla ricostruzione di una memoria  storica nazionale finalmente condivisa, si ritiene doveroso richiedere la restituzione dei resti di Giuseppe Villella. 
La restituzione dei resti di Giuseppe Villella avrebbe un profondo valore simbolico come gesto di vera riconciliazione nazionale, segno della sempre più necessaria ricostruzione della verità storica e dell’attesa restituzione di giustizia e dignità nei confronti di Giuseppe Villella, dei suoi eredi, dell’intera cittadinanza di Motta Santa Lucia, simbolo, infine, del riscatto di tutte le popolazioni calabresi e meridionali. 
LA GIUNTA COMUNALE
Udita la relazione del Sindaco e fattala propria;
Ritenuto opportuno aderire alla richiesta di restituzione dei resti del concittadino Giuseppe Villella, ponendo in essere tutte le iniziative all’uopo necessarie;
D E L I B E R A 
·         La premessa fa parte integrante e sostanziale del presente deliberato;
·         Di aderire alla richiesta del Sindaco di proporre alle istituzioni interessate la restituzione dei resti del concittadino Giuseppe Villella, conservati presso il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino;
·         Di dare mandato al Sindaco  di porre in essere tutti gli atti necessari e conseguenziali alla realizzazione  di quanto in premessa;
·         Di stabilire che, in seguito alla restituzione si provvederà finalmente ad una dignitosa sepoltura presso il cimitero comunale, con la celebrazione di una Messa in Suffragio e l’organizzazione di un convegno di studi aperto alla partecipazione di studiosi locali, nazionali e internazionali.
·         Che, copia del presente atto deliberativo sia trasmesso, per quanto di competenza, al  Ministro della Giustizia (competente per i musei criminologici), al Direttore del Museo Criminologico di Torino “Cesare Lombroso” e,  per conoscenza, al Ministro dei Beni Culturali, al Presidente della Regione Calabria, al Presidente della Provincia di Catanzaro.
·         Di dichiarare il presente atto, con separata, unanime votazione,  immediatamente esecutivo a mente  dell’art. 134, c.4 D.Lgs. 267/2000.



Per effetto del battage mediatico innescato dal Movimento, sorsero varie iniziative e comitati locali e nazionali che, forti della documentazione puntualmente diffusa, cominciarono la loro opera di sensibilizzazione.
Mentre il comune di Motta Santa Lucia, dopo aver deliberato di procedere e non ricevendo esito positivo dalla richiesta di restituzione dei resti del Villella intraprendeva un giudizio presso il Tribunale di Lamezia Terme incaricando l’avvocato Giovanna Gaetano, il Movimento di Insorgenza Civile organizzava una manifestazione di denuncia e protesta proprio fuori il Museo di Torino, facendo giungere amici e compatrioti sia dalla Campania che dal Nord.

Certo era che, al di là degli esiti di una controversa oramai affidata alla giustizia ordinaria, un primo fondamentale obiettivo si era raggiunto: portare all’attenzione del pubblico il problema della storia negata e delle atrocità risorgimentali ancora nascoste, proprio alla vigilia delle celebrazioni del 150esimo.
Una vicenda che, come abbiamo visto, interessò giornali, TV, radio, convegni, scuole, libri e dibattiti.
Ora arriva la sentenza del giudice di Lamezia, dott. Gustavo Danise quale giusto coronamento di una battaglia lunga e complessa che, come accennato, ha comunque già riscosso lungo il suo cammino notevoli frutti positivi.
Sintesi del dispositivo di sentenza del Tribunale di Lamezia Terme (pagg. 9)
La causa mossa dal Comune di Motta S. Lucia – con l’intervento del Comitato scientifico “No Lombroso” – contro il Comune di Torino, nonché il Miur e l’Università  degli Studi di Torino è stata impugnata per:
–    accertare e dichiarare che i resti mortali trattenuti presso il Museo Lombroso di Torino sono detenuti illegalmente e quindi per l’effetto, condannare i convenuti alla restituzione del teschio di Giuseppe Villella al Comune di Motta S. Lucia,
–    condannare i convenuti al pagamento delle spese di trasporto e tumulazione.
Di contro il Comune di Torino dichiarava la propria carenza di legittimazione passiva;
– Il Miur, a sua volta, chiedeva l’incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Torino   e la carenza di legittimazione del Comune di Motta S. Lucia…;.
Rigettata la richiesta di incompatibilità territoriale, giacché “il Comune di Motta S. Lucia rientra nella Circoscrizione giudiziaria di Lamezia Terme”, nella sentenza si evidenzia inoltre come “il Comune di Motta S. Lucia non ha agito quale sostituto processuale di terzi, ma ha agito per far valere un proprio diritto e un proprio interesse” (…) e ancora, “Il Comune di Motta S, Lucia si batte da anni per un riscatto morale della città di Motta S. Lucia, poiché il teschio di Villella non è il simbolo di un’inferiorità meridionale, ma rappresenta il ricordo storico di un uomo che nell’Italia pre-unitaria ha lottato per far trionfare la giustizia…(…); “il Comune ricorrente potrebbe divenire metà di turisti e curiosi che vogliono vedere i resti ossei e/o la tomba di colui che possedeva la forma delle fossetta occipitale mediana tipica dei criminali meridionali, secondo la teoria del Lombroso, definita da più voci a sfondo razzista..(…); “L’Università degli Studi di Torino è rimasta inadempiente nonostante il reperto in questione non costituisca più fonti di studio o interesse didattico, a seguito dell’apostasia delle teoria del Lombroso da parte della Comunità scientifica”…(…) e inoltre, l’Università degli Studi di Torino è rimasta inadempiente poiché, dopo le indagini eseguite sul cadavere, non ha provveduto a consegnare lo stesso al trasporto cimiteriale per essere sepolto…(…)…
Il Tribunale di Lamezia così dispone: “di accogliere l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune di Torino e del Miur;
Il cranio di Giuseppe Villella
– nel merito accoglie la domanda e, per l’effetto, condanna l’Università degli Studi di Torino alla restituzione al Comune di Motta S. Lucia del cranio di Giuseppe Villella detenuto nel Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso”, sito in Torino, presso il Palazzo degli Istituti Anatomici, nonché al pagamento delle spese di trasporto e tumulazione;
– condanna, altresì, l’Università  degli Studi di Torino al pagamento in favore del Comune di Motta S. Lucia ricorrente, e del Comitato scientifico “No Lombroso” interveniente, delle spese e competenze del presente giudizio, con distrazione ex art 93 c.p.c. per il primo, che si liquidano in 2.500,00 euro, cadauno di cui 1.000,00 euro per diritti e 1.500,00 per oneri di causa, oltre al contributo unificato Iva, Cpa e rimborso forfettario spese come per legge…”.


Torino alla riscossa


Resta, tuttavia, da fare ancora molto e, ora più che mai, bisogna prestare molta attenzione se non si vuole che da un eccesso si finisca in un altro sicuramente più tragico. E cioè che da un museo del macabro, si finisca in una distruzione generalizzata delle prove di un genocidio finora sottratto alla storia ed alla giustizia degli uomini.
Concludo questa lunga cronaca, salutando ed abbracciando i compatrioti del Piemonte che tanto hanno fatto e tanto ancora stanno facendo per la verità storica; gli amici ed i simpatizzanti della Calabria ed in special modo i colleghi di Lamezia Terme, senza dimenticare il Prefetto di Cosenza Dott. Antonio Reppucci che, facendo sua una questione di dignità, è intervenuto autorevolmente sull’intera vicenda; ed infine tutti voi che ci sostenete con la vostra preziosa collaborazione.


Riportiamo un messaggio della Rete che nel 2004 informava della questione Museo Lombroso quando, nei nostri ambienti, ancora se ne ignorava l’esistenza.


Messaggio del 7 giugno 2004 n. 04 – 141
Cesare Lombroso
Un criminale medico al servizio
 dell’esercito piemontese
Primi elementi di una raccapricciante vicenda risorgimentale
Oggi la storiografia ufficiale, tenendo tuttora chiuso il  Museo Psichiatrico e Criminologico di Torino, ha steso un velo pietoso sulle mostruosità commesse da un medico militare piemontese che tra il 1859 ed il 1909 raccolse centinaia di cimeli umani in un raccapricciante museo degli orrori.
Alla ricerca di una notorietà che, comunque poi arrivò per le sue tesi bislacche, Cesare Lombroso non esitò a scorticare cadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più incredibili e crudeli interventi su uomini ritenuti, per le misure di parti del cranio e del corpo, dei criminali, imbastendo incredibili teorie sulle caratteristiche somatiche dei Briganti Meridionali.
Le convinzioni del medico si basavano sulla tesi “dell’uomo delinquente nato o atavico”, individuo che, secondo Lombroso,  “reca nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano
dall’uomo normale e socialmente inserito
“.
Chiaramente in contrasto con i più concreti e scientificamente fondati principi russoiani della ingerenza sociale nella deviazione al male dell’uomo e non nella criminalità ereditaria (l’uomo è cattivo non perché nasce tale ma per colpa della società che lo circonda), il Lombroso cominciò i suoi “esperimenti” sui i poveri, gli emarginati ed i folli delle campagne lombarde con il pretesto di visitarli quali vittime della pellagra.  
E’ in  questo periodo che sviluppa i suoi convincimenti che ben presto lo porteranno a definire principi e teorie necessari atracciare i segni fisici geometrici della (SUA) pazzia criminale.  
Nel 1852 si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia dove, nel 1858, si laurea. Nel 1859 si arruola nel Corpo Sanitario Militare piemontese per essere inviato, nel 1861, in Calabria quale “consulente” medico nella campagna di repressione del brigantaggio.
Qui il Lombroso, grazie all’abbondante “parco umano” a disposizione, comincia un approfondito ed incontrollato“studio” criminologico sulle popolazioni calabresi ostili all’invasione piemontese, arrivando addirittura a ricercare un improbabile rapporto delinquenziale tra linguaggio, folklore, indumenti e caratteristiche fisiche.
Le sue teorie, scientificamente infondate, prendono forma e vengono applicate con disinvoltura su poveri contadini la cui unica colpa è quella di avere le misure del cranio simili a quelle di qualche noto delinquente del tempo.  Delle congetture più da allievo stregone che da scienziato che, purtroppo, trovarono terreno fertile in un contesto storico-militare particolare, dove apparve provvidenziale l’aver trovato dei pretesti pseudo scientifici per giustificare quella sanguinosa repressione armata su popolazioni inermi, costrette a difendersi da un’invasione crudele e devastante.
In questo periodo il medico piemontese individua, cataloga e seziona parecchie membra umane, sottoponendo centinaia di individui ad assurde e mortificanti misurazioni e ad incredibili sezionamenti. 
Per il momento non si hanno prove di vere e proprie torture con strumenti dedicati sulle popolazioni Meridionali sotto la sua “direzione medica” ma i suoi studi, le sue tesi e le sue giustificazioni sulle esigenze della scienza in merito agli interventi medico-scientifici, lasciano parecchi dubbi.
E’ da notare che la “passione” del Lombroso per le esposizioni di strumenti attinenti i sistemi punitivi fu precedente all’interesse scientifico per l’uomo delinquente. Ne è prova il successo ottenuto da una sua raccolta di antichi strumenti di tortura, illustrata in un catalogo edito nel 1874, a cura di G.B. Piani. La breve ma “originale” pubblicazione illustra il contenuto del “Museo storico- universale e l’esposizione degli strumenti di tortura che furono usati dal 1481 al 1838 dai tribunali dell’inquisizione, approvati scientificamente ed ufficialmente, di G.B. Gassner.”
Gli strumenti di tortura presenti nella sua raccolta erano suddivisi in “oggetti artistico-plastici, rappresentantitradizioni mediche sulla tortura e le sue conseguenze sul corpo umano”, “instrumenti originali di tortura” e “strumenti di morte”. Tra gli studi accademici erano presenti, in adesione allo spirito positivista, gli studi di frenologia di Gall, mappe cerebrali e del cranio, suddivise in zone, a ognuna delle quali si faceva corrispondere una facoltà dell’anima (vedi Antonini: “I precursori di Lombroso”, Fratelli Bocca editore, 1900).
Un’infinita varietà di strumenti di morte viene descritta dal Lombroso con precisione geometrica e maniacale in un lungo elenco con relativa sintetica scheda. Ecco alcuni esempi: “macchina da squarciare le dita, macchina per aprire la bocca onde strappare la lingua, ferro di caprone, stivale per i polpacci, anello per la testa, pera per la bocca, cappuccino, culla della tortura e così di seguito”. Elencazione di strumenti usati fino ai primi anni del XIX secolo, i cui nomi fantasiosi nascondevano in realtà macabre rappresentazioni di atroci supplizi rispetto ai quali il momento finale della morte poteva ben dirsi liberatorio.
Secondo il Lombroso lo scopo di questa raccolta è quello di porre da una parte l’inciviltà, l’uso efferato della tortura ad uso esclusivamente inquisitorio, dall’altro la luce irradiata dalla scienza che legge il corpo dell’uomo (sezionandolo e squartandolo vivo?come se fosse un libro, “individua le funzioni, le facoltà dell’anima, intuisce le sue attitudini buone e cattive, la spinta verso il bene e l’istinto alla degenerazione, morale e criminale“.
Nel 1864, modellando alle sue tesi il metodo sperimentale della scienza positivista, comincia l’osservazione dei tatuaggi e delle frasi tatuate che distinguono, secondo il suo punto di vista, gli individui disonesti da quelli onesti, che consentirebbero, unitamente ad altri elementi fisici identificati sui soggetti, di definire i caratteri dell’anormale, del delinquente e del pazzo criminale. 
Nel 1866 è nominato professore straordinario dell’Università di Pavia e qua, finalmente, distoglie la sua attenzione dalle popolazioni Meridionali.
Il 10 aprile 1870 sposa Nina De Benedetti. Dal matrimonio nasceranno cinque figli, tra cui Gina, secondogenita e biografa del padre.
Nel 1871 al Lombroso gli viene assegnata la direzione del manicomio di Pesaro dove matura l’idea della creazione di manicomi criminali destinati agli alienati pericolosi. L’anno dopo rientra a Pavia ed inizia gli studi che lo porteranno alla elaborazione della “teoria dell’uomo delinquente”.
Nel frattempo la sua raccolta di crani, scheletri, cervelli e oggetti di vario tipo, cresce sempre più dando vita al primo nucleo del museo privato, inizialmente conservato nella sua abitazione torinese.
Gina Lombroso, figlia e biografa di Cesare, così descrive l’interesse del padre intento a collezionare oggetti (membra umane) per il proprio museo: “Per quanto disordinato, e noncurante di quello che possedeva, il Lombroso era un raccoglitore nato – mentre camminava, mentre parlava, mentre discorreva; in città, in campagna, nei tribunali, in carcere, in viaggio, stava sempre osservando qualcosa che nessuno vedeva, raccogliendo così o comperando un cumulo di curiosità, di cui lì per lì nessuno, e neanche egli stesso qualche volta avrebbe saputo dire il valore, ma che si riannodavano nel suo incosciente a qualche studio passato o presente.” (Lombroso Ferrero G., 1921: 355).
Nel 1878, nominato professore di medicina legale all’università di Torino, Lombroso riesce a ottenere due locali nel convento di San Francesco di Paola, edificio che, riadattato, diviene sede del laboratorio di medicina legale e di psichiatria sperimentale e sede della raccolta. 
La prima esposizione pubblica dei reperti raccolti nel corso della sua attività il Lombroso la realizza nel 1884, nell’ambito dell’Esposizione Nazionale di Torino, attirando un vasto pubblico più interessato all’aspetto macabro di quelle crudeltà che al discutibile riscontro scientifico.
Tuttavia il successo della raccolta privata lombrosiana fu di incoraggiamento sia per l’allestimento di mostre successive sia per realizzare il progetto del Museo Psichiatrico e Criminologico poi ufficialmente istituito (ma non ancora concretamente realizzato) nel 1892.
La notizia sull’istituzione del Museo Criminale del “criminale” fu data sulla Rivista di discipline carcerarie nel 1897, nella sezione Varietà, p. 559: «Nel fabbricato delle antiche Carceri Nuove, oltre al deposito centrale dei detenuti e all’ufficio di identificazione, verrà istituito il Museo criminale e la Scuola di discipline carcerarie, essendo intenzione della Direzione generale delle carceri di far precedere un corso di letture agli esami che saranno indetti per la prima e la seconda categoria».
Nel 1904, il direttore del museo, Mario Carrara, curò il trasferimento e l’allestimento della raccolta nei nuovi locali dell’Istituto di Medicina Legale, in via Michelangelo, al Valentino.
Nel 1909 Cesare Lombroso morì e con lui, fortunatamente, morirono anche le sue infondate e criminali teorie.
Egli era nato a Verona il 6 novembre 1835 da un’agiata famiglia ebraica. .
Il Museo Criminale accolse i suoi resti. Lo scheletro, il volto, il cervello e le visceri furono messi in mostra insieme agli altri “criminali”.
 La famiglia donò l’intero studio di Lombroso, completo di scrivania, biblioteca, appunti autografi, ricordi personali.
Con la sua morte la fisionomia del Museo degli orrori cambia, assumendo sempre più quella di un museo di medicina legale, anche perché ormai le teorie positiviste avevano perso definitivamente quel poco di credibilità scientifica che avevano ottenuto più per un condizionamento politico che per un reale fondamento scientifico.
Ed è per questo che nel 1948 il museo subisce un nuovo trasferimento negli attuali locali appositamente costruiti per l’Istituto di Medicina Legale in Corso Galileo Galilei n. 22 – 10126 Torino  (tel. 011 6634728). 
Oggi il Museo è ancora chiuso nonostante varie interpellanze ed interrogazioni. Forse vi è il timore che qualcuno possa riconoscere tra le decina di teste mozze qualche parente scomparso?
A noi Meridionali, vittime di questo criminale precursore dei peggiori carnefici nazisti, adesso il compito di andare oltre le notizie attualmente messe a disposizione dalla storiografia ufficiale, per fare finalmente chiarezza su un aspetto veramente raccapricciante di una delle più efferate violenze messe in atto deliberatamente contro la nostra Gente dai peggiori artefici del risorgimento italiano. 
Cap. Alessandro Romano


Bibliografia
Gina Lombroso Ferrero, 1921
Pierluigi Baima Bollone, 1992, Cesare Lombroso, ovvero il principio dell’irresponsabilità, S.E.I., Torino
Rivista di discipline carcerarie, anno XV, 1885
Congresso ed esposizione d’Antropologia criminale, dalla Rivista di discipline carcerarie, anno XV, 1885
Catalogo Lombroso strumenti di tortura, 1874, a cura di G.B. Piani
Rivista di discipline carcerarie del 1897, sezione Varietà, p. 559
Circolare n. 272 del 25 gennaio 1932, diretta ai Direttori degli Stabilimenti di Prevenzione e di Pena del Regno
Roberto Vozzi, Tipografia delle Mantellate, 1943
Roberto Vozzi, Autorità di polizia, autorità giudiziarie, militari, coloniali, musei storici nazionali o regionali, archivi d Stato, 1943
Catalogo di G. Colombo (2000), La scienza infelice, con prefazione di Ferruccio Giacanelli, Bollati Boringhieri
Lombroso, 1894, Bulferetti, 1975
Bulferetti L. 1975. Cesare Lombroso. Unione Tipografico-Editrice Torinese. UTET, Torino.
Ciani I., Campioni G. (1986) La scienza infelice di Cesare Lombroso. In: I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria (Giorgio Antonucci Ed.) Coordinamento Editoriale di Alessio Coppola Cooperativa Apache srl – Roma  
Colombo, Giorgio – La scienza infelice : il Museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso / Giorgio Colombo ; introduzione di Ferruccio Giacanelli – Torino – 2000
Lombroso C. L’uomo delinquente. Torino: Bocca; 1878.
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Lombroso C. 1873. Studi clinici ed antropometrici sulla microcefalia ed il cretinismo con applicazione alla medicina legale e all’antropologia. Tipi Fava e Gragnani. Bologna.
Lombroso C. 1872. Sulla statura degli italiani in rapporto all’antropologia ed all’igiene.
Lombroso C. 1880. La pellagra in Italia in rapporto alla pretesa insufficienza alimentare. Torino.
Lombroso C., Ferrero G. 1893. La donna delinquente. La prostituta e la donna normale. Torino. L. Roux.
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