Garibaldi fu ferito

Continua inesorabile lo sgretolamento dei miti della “storiografia di regime” e la  retorica risorgimentale vacilla sotto i colpi inesorabili del revisionismo storico e della verità.
Un nuovo duro colpo alla credibilità dell’ “eroe nazionale” ed a tutta la vulgata risorgimentale che lo esaltò a “Dio dell’onestà e della vittoria”, questa volta arriva da un attento studioso, un serio e rigoroso professionista, primario chirurgo presso l’ospedale Ascalesi di Napoli, il dott. Gennaro Rispoli.
Ricordo che a scuola si celebrava con commozione ed accorato trasporto la ferita che Garibaldi dovette sopportare dall’ingrata Italia per mano di un bersagliere troppo zelante e preciso. E per questo sacrificio che lapidi, monumenti, ritratti, foto e tutto quanto la “migliore” retorica risorgimentale fornisce a mani basse, celebrano da 150 anni il mito, il condottiero indefesso, l’eroe al di sopra di ogni sospetto.
Adesso, però, scopriamo che le cose non andarono proprio come le hanno raccontate e che, smontata anche questa patetica messa in scena dell’Aspromonte, le menzogne ancora riportate dai libri di scuola e dalla storiografia nazionale della Repubblica Italiana, alimentano solo una vergognosa mitologia che celebra falsi eroi, racconta fantasiose gesta, esalta simboli massonici ed impone culture ed ideali lontani dalla verità storica e contrari ai principi della democrazia costituzionale.
Riportiamo lo studio del dott. Gennaro Rispoli, al quale vanno tutti i nostri attestati di stima ed ammirazione, pubblicato da IL MATTINO di Napoli il 3 settembre u.s. a firma di Paolo Barbuto.
Buona lettura.
Cap. Alessandro Romano
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Garibaldi ferito dalle sue camicie rosse
Studiosi napoletani: riesumare il cadavere
di
Paolo Barbuto
Sembra la trama di uno di quei serial televisivi nei quali i protagonisti riprendono vecchi casi polizieschi e vanno a cercare il colpevole dopo decenni; solo che in questo caso la vicenda risale a 150 anni fa e il protagonista è uno che ha scritto la storia d’Italia.
«Abbiamo studi e documenti: a ferire Garibaldi sull’Aspromonte fu uno dei suoi, una delle camicie rosse. Venne colpito dal fuoco amico, insomma», davanti allo sguardo attonito dei presenti, Gennaro Rispoli riscrive un pezzo della nostra storia.
E lo fa spiegando di non voler creare troppo clamore intorno a questa vicenda. Sessantuno anni, primario chirurgo all’ospedale Ascalesi, motore trainante dell’associazione «Il faro di Ippocrate» che gestisce anche il museo delle arti sanitarie, Gennaro Rispoli è un vulcano di idee e di proposte.
Quando si è trovato di fronte ai dettagli del ferimento del generale s’è incuriosito, ha studiato i reperti, letto i documenti e, da chirurgo con grande esperienza di pronto soccorso a Napoli, e quindi di colpi di arma da fuoco, ha capito che c’era qualcosa che non quadrava.
«Sull’Aspromonte, prima dello scontro il generale si rese conto che i suoi uomini erano pochi. Sarebbe stato un massacro. Così impose alle camicie rosse di non fare fuoco, e si frappose fra le due fazioni. Solo che qualche testa calda sparò ugualmente: nacque una piccola battaglia durante la quale Garibaldi rimase ferito. Poi arrivò la resa». Fin qui il racconto è fedele a quello dei libri di storia nei quali, però, si dice che sono stati i bersaglieri a ferire il generale per evitare che guidasse l’assalto alla Roma papale.
C’è anche il nome dell’uomo che avrebbe ferito l’eroe d’Italia nell’agosto del 1862: Luigi Ferrari, ligure di Castelnuovo Magra vicino La Spezia: «È stato lui a colpire il generale», confermarono i commilitoni. «E invece è impossibile che sia stato un bersagliere a ferire Garibaldi», racconta il professor Rispoli presentando la sua teoria davanti a un parterre di tutto rispetto, da Maurizio Scoppa, neo commissario della Asl Napoli 1 al giudice Raffaele Marino, a Luigi De Paola, direttore sanitario dell’ospedale degli Incurabili, sede del museo delle arti sanitarie dove si svolge l’incontro.
Per dimostrare che quel colpo non è partito da una carabina dei bersaglieri, Rispoli mostra foto e rappresentazioni della battaglia dell’Aspromonte. Garibaldi e i suoi sono su un altopiano, i bersaglieri si trovano in basso: «Però il proiettile che ha colpito Garibaldi ha una angolazione precisa: foro d’ingresso in alto e percorso del proiettile che scende verso il basso», dice Rispoli.
E cosa significa? «Che evidentemente il colpo è partito dall’altopiano dove si trovavano i fedelissimi del generale». Pare
incredibile il racconto. Ma il professor Rispoli presenta foto dello stivale del generale, rapporti ufficiali dei medici che lo operarono, radiografie eseguite postume sul corpo: tutto collima con il racconto.
«Abbiamo messo assieme un pool di esperti, tutti napoletani, per proseguire lo studio: dal presidente del Ceinge Franco Salvatore al medico legale Antonio Perna, al consigliere Marino. Il prossimo passo sarà chiedere l’esumazione del corpo di Garibaldi per poterlo analizzare». C’è anche un particolare che conferma la nuova teoria: i proiettili dei bersaglieri pesavano 30 grammi, quello estratto dal malleolo del generale e tenuto nascosto dal figlio Menotti per decenni, ne pesa solo 22.
Gli approfondimenti sulla vicenda proseguiranno nelle prossime settimane con incontri a Ischia e Procida durante i quali verranno mostrati altri documenti inediti e sono annunciate testimonianze importanti.
Per adesso la certezza è una «Garibaldi fu colpito da uno dei suoi. Erano ragazzini, poco esperti e desiderosi di combattere. Però c’è un altro mistero da chiarire: le pistole dei garibaldini riuscivano a colpire solo a distanza ravvicinata, 20 o 30 metri al massimo. Perché fu esploso quel colpo se i nemici si trovavano lontani più di trecento metri?».
Il MATTINO del 3 settembre 2011
Garibaldi ferito riceve l’inchino e le scusa da un ufficiale
che, poi, lo arresta

La medaglia commemorativa dell’atto eroico

Lo stivale bucato dall’alto

Il luogo dell’Aspromonte dove avvenne l’atto “eroico”

L’albero dove si appoggiò Garibaldi ferito

L’eroe trasporato a valle dai suoi

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