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Pubblicato in Eventi, News sul Sud, Notizie dalla patria
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La sfida di Pino Aprile
L’uscita di TERRONI con la sua dirompente diffusione causò un vero e proprio sbandamento tra le file dei cattedratici di regime. Dopo alcune prime reazioni scomposte, i baroni della cultura italiota cercarono di imbastire forme di resistenza che rasentarono il ridicolo e l’oltraggio. Tuttavia mentre costoro cavillavano sulle affermazioni storiche contenute sul magnifico libro con l’Italia rovesciata, il nostro Pino Aprile accettando la sfida preparava con cura la seconda bordata.
CARNEFICI è una vera e propria cannonata all’uranio “arricchito” che, oltre a raggiungere gli ultimi scettici, ha scardinato inesorabilmente ciò che resta ancora delle corazze di menzogne di cui è disseminata la nostra Storia. Per “costoro” un vero disastro non annunciato.
Vi lascio al commento di Gennaro De Crescenzo.
Cap. Alessandro Romano
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“CARNEFICI”, “IL” LIBRO DI PINO APRILE,
IL LIBRO DELLE PROVE, DEL PROGETTO E DEL RISCATTO.
E ora? Ora che scriveranno e che diranno? Parliamo del nuovo libro di Pino Aprile (titolo e sottotitolo più che mai chiari: “Carnefici. Fu genocidio: centinaia di migliaia di italiani del Sud uccisi, incarcerati, deportati, torturati, derubati. Ecco le prove”). Parliamo di tutti quelli che (pochi e sempre gli stessi, accademici e non, meridionali e non) da quando è uscito “Terroni” sono impegnati in un’attività quasi quotidiana: l’attacco a Pino Aprile (e, ogni, tanto, ai neoborbonici). Spesso parlo di era pre e post-Terroni. Con “Carnefici” inizia una fase nuova ed è davvero difficile sintetizzare un libro che contiene gran parte delle domande e delle risposte intorno alle quali gira chi cerca la verità storica senza preconcetti e pregiudizi (dai massacri -ancora- negati alla situazione economica del Sud preunitario, dai soldati deportati ai primati culturali delle Due Sicilie). “Quando una cosa non vuoi farla sapere, la terra si apre e parla”: questa frase ci accompagna fin da quella bella serata estiva trascorsa insieme negli Abruzzi a parlare di briganti ed ha accompagnato le tante serate trascorse con Pino ad “ascoltare” la terra e per terra intendiamo le centinaia di testi e di documenti ritrovati, giorno dopo giorno (e anche dopo l’uscita del libro) negli archivi o nelle biblioteche soprattutto straniere in un percorso tormentato ed esaltante per confermare quelle che da anni erano idee, spunti, domande o dubbi. “Ecco le prove”, allora, e toccherà agli altri, agli storici “ufficiali” replicare con una altrettanto adeguata dose di testi o documenti evitando di far finta di leggere il libro o di rifugiarsi nelle consuete, stucchevoli e ormai involontariamente comiche etichette (“è neoborbonico”, “è giornalista”…). Replichino entrando nel merito (se non ora, quando?), se possono. Oppure tacciano. “Non mi tornavano i conti”: inizia così questa documentata e appassionata analisi di una storia finora trascurata o dimenticata dalla storiografia ufficiale (e nel libro anche le prove -altrettanto inoppugnabili- di come è stato occultato tutto questo). Possibile che di quelle centinaia di migliaia di meridionali (“amori, sogni, speranze” e non numeri) scomparsi subito dopo il 1860 nessuno abbia mai parlato in un secolo e mezzo? Possibile che lo dobbiamo fare Pino, io e i tanti amici ricercatori-volontari che Pino cita e ringrazia spesso (con affetto) nel libro e nelle sue conferenze? Possibile che in un secolo e mezzo ricerche e tesi accademiche abbiano trattato i temi più disparati senza mai chiedersi che fine avevano fatto quei “fantasmi”, quelle “tribù scomparse” nel passaggio tra Regno delle Due Sicilie e Regno d’Italia? Pigrizia o colpa? In entrambi i casi nessuno ha (avrebbe) il diritto di rimproverare a Pino Aprile nulla se non per un vago senso di colpa&vergogna che chi fa lo storico deve (dovrebbe) provare di fronte a gravi lacune, strane dimenticanze o reiterate distrazioni relative ai fatti che Aprile racconta. Ovvio che per loro era ed è più facile occuparsi di chilometri di ferrovie o di costituzioni concesse o meno piuttosto che delle (vere e drammatiche) cifre dei deportati meridionali o delle vittime di Pontelandolfo o Auletta. “La storia è un posto dove sono tutti morti: è come muoversi in un cimitero. Noi siamo la somma di tutte quelle vite spente, e dobbiamo sapere come, per capire chi […]. Chi ha paura della storia, teme che da lì possa emergere una colpa: la propria. Se la paura continua quando i colpevoli di quei crimini sono tutti morti, vuol dire che il vantaggio di quella colpa dura ancora. E non lo si vuol perdere. Questo condanna l’Italia a dover soffocare il passato”. E, a proposito di passato, “a che serve ricordarlo”? È la domanda più frequente che rivolgono a Pino o ai neoborbonici. In qualsiasi posto del mondo e in qualsiasi momento storico senza memoria non c’è futuro. Se il Sud vive da 150 anni un dramma e se questo dramma negli ultimi tempi sta rivelando cifre intollerabili come quelle riportate anche in “Carnefici”, premesso che nessuna persona di buon senso (non stiamo pensando, è ovvio, ai leghisti padani o ai terroni subalterni) può pensare che quella meridionale sia una razza inferiore, la spiegazione è tutta nella storia e nelle scelte dei “carnefici” del passato e di oggi (quelli del “prima il Nord” sempre e comunque). La spiegazione è in un sistema di colonizzazione interna con una classe dirigente nazionale complice di una classe dirigente locale interessata, rinnegata e venduta (potete pensare da soli a politici, docenti o giornalisti, spesso “nemici” di Pino Aprile o magari dei neoborbonici). “Così dividete l’Italia” sarà la seconda frase più utilizzata dopo la lettura di questo libro: come se questo Paese non fosse già diviso per diritti, servizi, occasioni o speranze. E se l’unione di questo Paese è fallita con le bugie e con la retorica, nessuno può impedirci di provarci con la verità, nel reciproco rispetto e con la pretesa di “par condicio” e pari dignità tra un giovane di Bergamo e uno di Reggio Calabria. A meno che non siamo complici di questo sistema e abbiamo paura di perdere incarichi, appalti, cattedre o scrivanie da direttori di giornale (le stesse che avrebbero offerto ogni giorno ad Aprile se avesse scelto i vivalitalia e non le trincee in giro ogni giorno a raccontare le sue storie). Lo stile? Quello consueto di Pino, sospeso tra dati, passione, poesia e ironia, lo stesso che lo ha portato al meritato successo di “Terroni” e degli altri best-seller “meridionalisti” e non (peggio per gli invidiosi più o meno palesi). “La memoria ha bisogno di segnacoli e ricorrenze, per questo ci sono le croci e le lapidi nei cimiteri e il 2 novembre nel calendario. Il genocidio dei meridionali, l’aggressione che subirono e la loro dequalificazione umana (minorizzati nei diritti e nella dignità dallo Stato che si finge unitario) devono diventare insegnamento scolastico, monumenti alle vittime, nomi delle strade e delle piazze, un giorno nel calendario, per migliorare la qualità dell’incontro fra cittadini di uno stesso Paese.” Il progetto? E’ nel percorso che Pino Aprile ci indica chiaramente: “sentire, sapere, fare, far fare. La fase del sentimento, che spinge a volersi informare, è ormai superata ma non alle spalle, perché sull’onda di quello, sempre più persone si accostano, incuriosite, alla riscoperta di un passato in cui gli italiani del Sud non erano meridionali di nessuno”. Continuare a studiare, allora, continuare a ricercare e a diffondere consapevolezza e orgoglio e metterci in fila lungo la strada che porterà alla costruzione di un monumento alla memoria ritrovata, un fiore e un mattone tra le mani, dal Nord come dal Sud magari a Gaeta… Ecco perché “Carnefici” non è “un” libro di Pino Aprile ma “il” libro di Pino Aprile. Ecco perché è un libro importante e serve. Serve a chi ama (ancora) la nostra terra e la nostra gente ed è convinto che per questa terra e per questa gente è più vicino il momento del riscatto. Ecco perché ne ho conservato per le mie bambine (3 e 8 anni) una copia e chiederò a Pino di dedicarlo non a me ma ad Annachiara e a Vittoria.
Gennaro De Crescenzo
Pubblicato in L'opinione, News sul Sud, Notizie dalla patria, Novità editoriale
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Il Lanificio Borbonico che ritorna
La nostra storia è fatta di tanti c’era una volta. Luoghi abbandonati, o devastati dall’incuria, spesso riescono a riportare alla memoria vicende e uomini del passato. Come il Lanificio in piazza De Nicola a Napoli, di fianco la chiesa di Santa Caterina a Formiello. L’unico residuo di grossa industria ancora visibile nel cuore cittadino.
Quello che c’era all’interno dell’ex chiostro della chiesa trasformato in fabbrica è immaginabile dai resti delle due alte ciminiere, dai lunghi corridoi dove venivano realizzate le varie fasi della produzione di lana e abiti. Ne uscivano in prevalenza divise dell’esercito del regno delle Due Sicilie. Un’attività che fu esempio di politica economica che qualcuno oggi riscopre, preoccupato dei danni e dei limiti del mercato globale: si trattava di un’industria protetta e agevolata dallo Stato con leggi, in grado di occupare 700 operai e produrre ottomila pezzi di panni.
Ne parlava già nel 1877 don Giuseppe Buttà nel suo “I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli”. Che, a proposito di re Francesco I che fu sul trono dal 1825 al 1830, scriveva: “La grande e utilissima opera che incoraggiò e protesse fu la fabbrica dei panni del Regno, impiantata dal cavaliere Raffaele Sava nell’abolito convento di Santa Caterina a Formello presso porta Capuana”.
Una famiglia di imprenditori che veniva da Amalfi erano i Sava, che fecero concorrenza alle industrie francesi utilizzando prestiti bancari e in parte manodopera di detenuti (anche oggi il lavoro di chi è in galera viene considerato strumento di reinserimento sociale). Al momento dell’unità d’Italia, il Lanificio occupava 600 operai, aveva due macchine a vapore per la produzione e fatturava qualcosa come un milione e 600mila lire.
Una realtà industriale nel centro di Napoli, che produceva le divise dell’esercito. Dopo il fondatore Raffaele, arrivarono i figli Salvatore e Francesco. Abitavano nell’area della fabbrica e gli appartamenti, in disfacimento, sono ancora visibili e acquistati dalla Regione che dovrà deciderne cosa farne. La fine dell’azienda, come tante attività industriali fiorite nell’ex regno borbonico attraverso una politica economica protezionista, arrivò con l’unità d’Italia.
E non perché i Sava non avessero giurato per il regno d’Italia. Anzi. Ma perché, dopo le commesse ricevute da due governi dittatoriali, dai governi successivi non arrivò il riconoscimento dei contratti firmati con lo Stato delle Due Sicilie. In più, non fu concesso di utilizzare ancora i detenuti tra gli operai. Fu la fine, con debiti bancari in crescita e la chiusura della produzione dal 1869. Dopo 44 anni di attività, il Lanificio chiuse nonostante le cause dei Sava allo Stato e al Demanio. E scrisse Buttà otto anni dopo: “Forniva castori di ottima qualità a tutto l’esercito napoletano con un’economia che oggi sembra favolosa. Ebbene, quella fabbrica, che potea dirsi orgoglio nazionale, subì le sorti di tutte le utili industrie del Regno. Essa cadde”.
Lasciamo stare il cappellano Buttà, che aveva militato nell’esercito borbonico. Resta, quel Lanificio con l’insegna d’epoca all’ingresso ancora visibile, un esempio di archeologia industriale. Dopo la chiusura, fu occupato da più attività artigianali che non ne ebbero rispetto. Il chiostro antico manca addirittura di una colonna, sventrata per far spazio alle auto. Una devastazione che una fondazione, “Made in cloister”, costituita da due imprenditori e un architetto, tutti napoletani, vuole riparare recuperando il Lanificio.
Oggi l’apertura al pubblico delle prime parti restaurate, tra cui il chiostro, con una mostra dell’artista-musicista Laurie Anderson. Poi l’idea da portare avanti di una cittadella delle arti e dell’artigianato. La creatività ritorna in uno dei luoghi-esempio di produttività dello Stato delle Due Sicilie. Un pezzo di memoria cittadina che ritorna.
Gigi Di Fiore
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Corteo Storico a Napoli per ricordare Carlo di Borbone
Domenica 29 maggio 2016, alle ore 10.00 ed alle ore 17.00, un doppio importante evento a Napoli per celebrare i 300 anni della nascita di Carlo di Borbone: “Una passeggiata da Re”, a cura degli attivissimi amici de “I Sedili di Napoli” guidati dal compatriota Peppe Serroni e di “Officina delle Idee” guidata da Rosa Praticò.
Alle ore 10.00, Lungomare Caracciolo (Via Partenope – Via N. Sauro), grande sfilata di carrozze d’epoca; Alle ore 17.00, grande corteo in abiti del Settecento con partenza da Porta Capuana fino al Largo di Palazzo (ex Piazza del plebiscito).
Il corteo attraverserà gran parte del centro storico e sarà composto da centinaia di figuranti tra musicisti, popolani, dignitari di corte, militari, preceduti da un giovanissimo “Re Carlo” a cavallo.
Un modo festoso e colorato di celebrare la nostra grande memoria storica.
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Il Giardino del Dialogo a Motta Santa Lucia
Domenica 29 maggio 2016 sarà inaugurato a Motta Santa Lucia, in provincia di Catanzaro, il primo “GIARDINO DEL DIALOGO” in Italia.
https://www.facebook.com/events/744681482341249/
Successivamente il progetto verrà realizzato in altri Comuni (il 31 maggio vi sarà l’inaugurazione a Torino, presso il parco che circonda la scuola media Matteotti).
L’iniziativa è sostenuta dai patrocini della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dell’ANPCI (Associazione Nazionale Piccoli Comuni d’Italia), dell’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Enti Montani), di Legautonomie, del Comitato Italiano Città Unite (C.I.C.U.), della sezione italiana di RFP (Religions for Peace), la più grande organizzazione mondiale sul dialogo interreligioso, e dell’ Osservatorio per il Pluralismo Religioso.
Grazie alle suddette Associazioni di Enti Locali, l’iniziativa sarà portata a conoscenza di migliaia di comuni sparsi su tutto il territorio nazionale.
Il “Giardino del Dialogo” costituisce la “materializzazione” fisica di quanto contenuto nell’omonimo mio libro denominato appunto “Il Giardino del Dialogo”, che uscirà on-line poco tempo dopo l’inaugurazione dei “Giardini” di Motta Santa Lucia e di Torino e tra qualche mese in edizione “cartacea”.
Di seguito i testi della targa che inaugura il percorso storico e la n° 5 (I VINTI DEL RISORGIMENTO).
L’iniziativa sarà denominata “IL GIARDINO DEL DIALOGO (nel Paese del Dialogo) e difatti, ad ognuna delle targhe corrisponderà una casa del Paese, che rimarrebbe così totalmente coinvolto.
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Evento ad Avellino
Giovedì 19 maggio 2016, alle ore 17.30, presso il Carcere Borbonico di Avellino, in Via De Marsico, si svolgerà un importante evento con l’inaugurazione della Mostra sui 300 anni di Carlo di Borbone.
La mostra è stata realizzata con il patrocinio della Real Casa di Borbone Due Sicilie e dell’ANCCI e viene esposta dal 19 al 26 maggio per scuole e appassionati di storia.
Ci sarà anche la presentazione del libro di Pino Aprile “Carnefici”, con Pino Aprile e Gennaro De Crescenzo.
L’evento, organizzato da Antonella D’Addazio, è patrocinato anche dalla Provincia di Avellino con la collaborazione di Sertura Vini, di Edil Casa Salerno, di Hotel Villa Calvo, Forchetta d’Oro Catering.
Un’occasione importante per parlare di Sud e verità storica tra primati borbonici e questioni meridionali, partendo dal nuovo e importante libro di Pino Aprile e dai 300 anni di Carlo di Borbone.
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Pino Aprile a Telese Terme
Pino Aprile presenterà il suo ultimo libro “CARNEFICI” alle ore 18.30 di sabato 21 maggio 2016, presso la Libreria “Controvento”, sita in Telese Terme, in Via Cristoforo Colombo nr. 27.
Amici e compatrioti sono invitati a partecipare e troveranno ad accoglierli il nostro Delegato Dott. Ubaldo Sterlicchio.
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Evento a Caivano
Continuano le iniziative che celebrano i trecento anni della nascita del grande Re Carlo fondatore del felice Regno dei Borbone Napoli che ha lasciato una profonda traccia nella nostra storia, nella nostra cultura e nella nostra identità. Il nostro Popolo deve molto a questa Dinastia.
Ci vediamo martedì 10 maggio, dalle ore 17.30, a Caivano, nel Castello, nella Biblioteca e in Piazza Battisti per la conferenza, la mostra ed il concerto per la nascita del Regno di Napoli, avvenuta il 10 maggio 1734 e, naturalmente, per i 300 anni di Carlo di Borbone.
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Aiutiamo la nostra Gente
La figlia di un dipendente del Pastificio Rummo di Benevento ha lanciato un appello, scrivendo anche a noi, per salvare la fabbrica dalla chiusura: “Barilla può fare a meno di un pacchetto di spaghetti, noi no”. Almeno una volta proviamo a comperarla? Ricordiamo che l’azienda Rummo, fiore all’occhiello dell’intera area per qualità, scrupolosità nell’impiego di grano certificato e serietà commerciale, fu devastata dall’alluvione dello scorso anno. Gli operai hanno ripulito e ricostruito con le proprie mani la loro fabbrica, ma quel fermo è stato fatale. Noi tutti possiamo fare molto: chi in piccolo e chi in grande può e deve fare la sua parte, è veramente un dovere verso la nostra Gente, verso la nostra identità.
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